In Italia le coltivazioni orticole erano presenti all'interno delle aree urbane già dalla prima metà del XIX secolo; tale presenza accompagnò lo sviluppo delle città nei decenni successivi integrandosi alle trasformazioni urbanistiche, in particolare nel nord Italia.
In molte città italiane, all'inizio degli anni '40, gli orti cambiano nome e diventano “orti di guerra”.
Essi servivano infatti al sostentamento delle famiglie che la guerra aveva portato sul lastrico.
Il numero sale vertiginosamente in quasi tutte le città ( a Milano si passa da meno di mille a più di diecimila unità ), dove vengono messe a coltivo anche le aree comunali a giardino, i parchi pubblici, le sedi stradali.
Durante il conflitto anche le aree distrutte dai bombardamenti, vengono coltivate.
Finita la guerra iniziano le attività di ricostruzione: cresce il lavoro, crescono le industrie, la città si ingrandisce, il prezzo dei terreni fabbricabili sale e così il fenomeno degli orti urbani decresce significativamente.
Ma gli orti non spariscono del tutto, si spostano dai centri cittadini per ricomparire, spesso abusivamente, nelle periferie.
Dopo questa fase, databile tra gli anni '50 e '60, il fenomeno degli orti urbani riprende vigore soprattutto nelle città industriali del nord, in particolare nelle aree periurbane, cioè in quelle zone di “transizione” tra città e campagna destinate storicamente ad accogliere determinate attività ( industrie, depositi, centrali del gas e dell'acqua, infrastrutture ferroviarie, ecc.) e che in quegli anni vengono inglobate all'interno delle città in crescita.
Sono queste zone caratterizzate da un diffuso degrado e dall'isolamento sociale tipici dei quartieri dell'estrema periferia cittadina.
È qui che saranno edificati i complessi abitativi destinati alla nuova manodopera industriale proveniente dal meridione in Italia e sono queste le aree in cui il fenomeno degli orti urbani avrà il suo massimo sviluppo.
A partire da quegli anni, assieme a Torino e Milano, altri capoluoghi di provincia e molti altri comuni hanno messo a disposizione appezzamenti di terreno ed hanno riproposto l'esperienza degli orti mutandola sulla propria tipologia urbana ed in risposta alle dinamiche sociali delle loro comunità.
Il riconoscimento dell'importanza degli orti urbani e l'esigenza di contenerne gli aspetti di spontaneità e abusivismo si è tradotta poi nella redazione dei primi regolamenti, contenenti i criteri per l'assegnazione di aree orticole ai cittadini interessati da parte delle amministrazioni comunali.
Il primo regolamento italiano di orti sociali comunali è stato redatto a Modena nel 1980, in virtù del quale sono stati assegnati, a pensionati di età superiore ai 55 anni, sei orti su un terreno suburbano non edificabile.