Reportage

Dal 1700 ai giorni nostri, alla scoperta del primo teatro della città, in un'altalenante storia sospesa tra fallimenti e gloriosi successi.
Ingresso del palazzo Zapata col portale manieristico fatto erigere nel 1626 da don Lussorio Brundo
Ingresso del palazzo Zapata col portale manieristico fatto erigere nel 1626 da don Lussorio Brundo

Dal Regio al Civico, un Teatro tra plausi e sconfitte

La gestione del Teatro Regio ha comportato sin dall’inizio il sorgere di una serie di difficoltà, legate innanzitutto agli alti costi di produzione (a lungo superiori alle entrate) per mantenere alto il livello della qualità delle rappresentazioni, vista anche l’esigenza del pubblico cagliaritano.

Le spese per il suo mantenimento e per l’allestimento delle opere erano veramente ingenti (e spesso non si godeva dei finanziamenti governativi): per spartiti e vestiari infatti ci si rivolgeva a piccole agenzie milanesi che mettevano a disposizione cantanti per ogni tasca. Inoltre, i viaggi per mare erano non solo costosi, ma anche pericolosi e disagevoli, in quanto spesso le navi venivano attaccate dai barbareschi.

Cagliari con i suoi ventimila abitanti scarsi, non era poi un buon bacino d’utenza per il teatro, frequentato prevalentemente dai nobili, dai militari piemontesi e dagli stranieri presenti in città. All’imbrunire le porte del Castello venivano chiuse senza tener conto della durata degli spettacoli, e ciò costituì un serio limite per chi viveva in un altro quartiere e, volendo assistere agli spettacoli, non poteva permettersi di soggiornare all’interno della zona.

Per questo, dopo un’attività teatrale abbastanza discontinua, il teatro, che necessitava di un restauro e di un imponente svecchiamento del modello gestionale (visto che l’usanza di far pagare all’impresario un affitto per usufruire del teatro era settecentesca e in vigore ancora solo a Roma, oltre che a Cagliari), costituiva solo un fastidioso peso economico per il barone Zapata. Infatti, soprattutto tra il 1813 e il 1830, gli impresari del Regio continuavano a collezionare chiusure annuali in passivo.
Certo la situazione rispecchiava una crisi generale dei teatri della penisola, da imputarsi sia alla divagante crisi economica (che vessava in modo particolare Cagliari e i frequentatori del suo teatro), sia alla concorrenza straniera, se in una lettera di un impresario (Alessandro Lanari) degli anni 1825-30, si legge: “Illustrissimi signori, L’Impresa dei teatri fu sempre speculazione infelice. Infelicissima ella è poi divenuta ai dì nostri”, e cause ne erano “il lusso giunto all’eccesso […] la scarsità degli artisti d’un merito distinto […] la concorrenza delle vecchie città di Londra, di Parigi, di Vienna, che rapiscono all’Italia i pochi suoi geni”.

Finalmente, da quando nel 1799 il barone aveva annunciato al Municipio la sua volontà di rinunciare al Teatro, e dopo lunghe trattative, nel 1831 proprio il Comune firmò gli atti di vendita e acquistò il Teatro Regio, a quel punto divenuto “Teatro Civico”, per 29.795 lire sarde. La stagione si apriva positivamente all’insegna di Saverio Mercadante, con la sua Elisa e Claudio, e soprattutto del grande e fascinoso Gioacchino Rossini (tra cui Il Barbiere di Siviglia, Matilde di Shabran ossia Corradino cuor di ferro, Torvaldo e Dorliska, La gazza ladra).

Eppure, nonostante il cambio di amministrazione, il Teatro continuava a incedere in numerosi problemi di natura economica, che si accentuarono quando a Cagliari, nella seconda metà dell’Ottocento, fiorirono sia numerose società e associazioni filodrammatiche, sia i nuovi teatri con cui il Civico avrebbe instradato una spietata concorrenza: Il Teatro La Costituzione, (primo teatro diurno in città) e il Nuovo diurno, rinominato prima Cerruti (quando fu ricostruito dall’ingegnere omonimo in Viale Regina Margherita) poi Politeama Regina Margherita. Erano teatri diurni, decisamente più economici e ubicati in zone più popolari. Il loro repertorio era molto più moderno (spaziava dalla tragedia al dramma storico, alla farsa, alla commedia e all’opera), con una significativa prevalenza delle opere in prosa, meno impegnative, più contemporanee, e molto più richieste e apprezzate.
Col tempo, anche il pubblico del Civico avrebbe cambiato i propri gusti, conformandoli a quelli più diffusi.
Tra alti e bassi il teatro si affacciò nel Ventesimo secolo, suscitando tripudi e biasimi. È interessante osservare che nei primi anni del ‘900, per resistere alla concorrenza con le prime proiezioni cinematografiche, anche il Civico propose i primi filmati, e addirittura nel 1912 la sua antica sala veniva trasformata in sala cinematografica.
A parte qualche episodico successo, soprattutto negli anni Trenta, il Civico, tempio della lirica, era ormai sempre più obliato dal Politeama, tempio invece della prosa. L’ultima rappresentazione operistica risale al 1939, quando i Principi di Piemonte si recarono in visita ufficiale a Cagliari.
L’ultima sua data storica, invece, è il 26 febbraio del 1943, quando nel fragore di un violento bombardamento che lo colpì, il silenzio si impossessava dei pochi muri che restavano in piedi.