Il Teatro Civico: le origini di “un thèatre ben joli”
Un thèatre ben joli, così lo ha definito Matteo Luigi Simon, storico sardo del’‘700, nel segnalare le cose più notevoli di Cagliari nelle sue Memoire pour Napoleon, uscite in Francia nel 1803 durante il suo esilio, e indirizzate a Napoleone intenzionato a compiere uno sbarco di conquista dell’isola. La storia di questo teatro, perfettamente inscritta nella storia del teatro italiano, vede l’alternarsi di momenti di gloria e di decadenza, sino al culmine storico, il suo crollo, quando la città fu colpita dai bombardamenti del 1943.
In un contesto poco confortante come quello in cui si trovava l’isola a cavallo tra il ‘700 e l’‘800 (a una posizione politico-economica non certo favorevole, infatti, si aggiungeva l’isolamento geografico con l’aggravio di un inadeguato sistema di comunicazione), motivo per cui era poco ricettiva nei confronti dei fermenti culturali, non mancavano però il gusto e l’interesse per la spettacolarizzazione e per le rappresentazioni teatrali. Sino alla prima metà del ‘700 però, Cagliari non possedeva un suo teatro, per cui tutte le rappresentazioni di cui si ha notizia si svolgevano nel palazzo Viceregio o nelle piazze cittadine.
La costruzione del primo teatro risale infatti al periodo compreso tra il 1764 e il 1767: si tratta proprio del Teatro Regio, noto popolarmente prima come Teatro Las Plassas, dal nome della località di provenienza, Las Plassas, del barone Francesco Zapata, il nobile cagliaritano che lo fece costruire a sue spese, poi come Teatro Civico, visto che a un certo punto (1831) la sua amministrazione passò nelle mani del Municipio di Cagliari.
Venne costruito su progetto dell’ingegnere Saverio Belgrano di Famolasco, che si doveva occupare della realizzazione di un complesso comprendente l’Università, il Seminario e nel mezzo un centro culturale (ancora inesistente in città), visto che l’unico spazio provvisorio adibito alle rappresentazioni era stato tra il 1750 e il 1764, nel cosiddetto Teatro dell’Università, una sala del primo piano del palazzo dell’Università ormai fatiscente. In realtà, del progetto che doveva essere approvato a Torino, solo il teatro fu tenuto escluso, ma la sua realizzazione attirò l’attenzione del barone Zapata, che, modificando l’originale progetto, lo fece costruire nella zona del Castello limitrofa al suo Palazzo, il cui ricco portone in stile manierista ne consentiva l’accesso. Sorse, com’è ancora visibile, tra Via Mario De Candia e Via Università, chiuso dal costone roccioso del Castello.
Il teatro, per la cui costruzione l’ingegnere mostrò particolare attenzione verso le esigenze locali e studiò le tecniche edilizie tradizionali, aveva una pianta a U, era dotato di un palcoscenico abbastanza ampio, tre ordini di palchi e un loggione, per un totale di circa seicento posti. Era costruito quasi interamente in legno, ragion per cui si vietava severamente di portarvi torce e scaldini, e di accendere lumi nei palchi, vista la frequenza con cui i teatri erano colpiti da incendi.
Sorgendo nel quartiere di Castello, zona abitata dalla nobiltà, esso acquisì un evidente marchio di appartenenza alle classi sociali più elevate, ed era certo l’unico vero evento culturale e mondano della città, l’occasione per mettersi in mostra e millantare il proprio status.
Nei primi tempi di attività era gestito dallo stesso barone Zapata, abile impresario e organizzatore, che ne aveva anche redatto un Regolamento. Egli era molto tempestivo nel proporre le opere più valide e nuove degli autori più significativi del momento (Pasquale Anfossi, Giovanni Paisiello, Gazzaniga, Domenico Cimarosa).
Nel 1779 però il barone, non riuscendo più a sostenere gli oneri e le spese del teatro, decise di fondare la “Società dei Cavalieri”, che comprendeva undici nobili (di antica data, ma anche “uomini nuovi” appena entrati nel rango nobiliare) impegnati nella conduzione del teatro. Essi corrispondevano al barone un fitto annuo, e realizzavano un programma che prevedeva l’allestimento di opere buffe, balli e commedie. Perché fosse sgominata ogni forma di concorrenza, avevano anche ottenuto una privativa che garantiva l’esclusività dei loro spettacoli.
Le cronache dell’epoca ci hanno tramandato un aneddoto quanto mai curioso, databile al memorabile anno 1789, quando i suoi palchi agitati da un vento tumultuoso si resero protagonisti di quella che è stata battezzata “La Guerra dei Palchi”. Eccezionalmente, a condurla furono le nobildonne sarde.