Reportage

Le Saline. Cagliari città del sale

Autore: Maria Elena Tiragallo,
22 novembre 2006, 10:35
Nella costa est, in pieno centro abitato, c'è la Salina di Cagliari. Una superficie di circa 1040 ettari di cui 836 occupati da specchi d'acqua.

Il lavoro nelle saline

Suddivise in argini di terra contenuti con tavolati di legno di 30 km, sono attraversate da canali. I lavoratori delle saline con il loro intervento garantivano la perfetta tenuta idrica. Nell'area salante le manutenzioni si effettuavano nel periodo invernale, previo prosciugamento dei fondi di argilla, spianati e rullati per predisporli alla raccolta successiva.
Gli argini lesionati dal vento e dall'acqua marina, durante le fasi di produzione del sale, erano riparati con arbusti di macchia mediterranea, che venivano rivestiti da terra, scavata da una cava di prestito. Gli stessi argini venivano rinforzati con delle sponde formate da tavole di legno. Gli unici arnesi utilizzati per questo lavoro erano i badili e le braccia.

La salina era servita da dei canali: quelli alti servivano per alimentarla, quelli bassi per svuotarla. Dovevano essere tenuti liberi da sedimenti e dai franamenti: quest'intervento veniva fatto manualmente con lo sfangamento dei lavoratori.
Le superfici su cui si depositava il sale dovevano essere spianate per predisporle alla raccolta successiva. Le strade attraversate dai carri e scavate dalle acque piovane, venivano ricolmate dai lavoratori.

La figura del capo salinaio richiedeva molta competenza. Prima dell'industrializzazione il lavoro nelle saline si basava sulla manodopera umana con l'aiuto degli animali. A Cagliari venivano utilizzati gli asinelli, i molentes, che hanno dato il nome al Molentargius.
Le saline marittime erano legate all'energia solare e all'acqua di mare, pertanto i costi di produzione erano determinati dalla manodopera. Il sale era raccolto da migliaia di persone dalla seconda metà di agosto e doveva essere estratto prima che le piogge autunnali potessero scioglierlo.
Le caselle salanti venivano svuotate, realizzando delle aperture negli argini da cui fuoriusciva l'acqua. Dopo veniva estratto il sale. Le caselle venivano segnate, si tracciavano con le lenze delle linee parallele, per suddividere le caselle in tante parti uguali e proporzionali alla resa giornaliera stabilita per ciascun lavoratore, di 4 metri cubi di sale.

L'attelatura consisteva nella frantumazione, con colpi di zappa, della crosta di sale ancora morbida, di 12 cm di spessore. Poi, il sale veniva ammucchiato a forma di cono, per favorire lo scolo dell'acqua, e trasportato in ceste, caricate in spalla, fino a destinazione. Questo duro lavoro fu sostituito dalle carriole in legno, spinte su tavole poggiate sopra gli argini. Quando le persone non bastavano si faceva ricorso al lavoro coatto dell' hinterland. Per molto tempo i detenuti furono costretti a lavorare nella salina. Per raccogliere centomila tonnellate di sale occorrevano più di mille uomini. Con il tempo furono realizzati i motori elettrici, che funzionavano con il principio del campo magnetico rotante. Da qui, la nascita di molte macchine mosse da energia elettrica come elettropompe, elevatori, nastri trasportatori.
Grazie alle macchine aumentò la resa con conseguente arresto della manodopera.
Nel 1960 si fece uso di raccoglitori capaci di raccogliere anche 300 tonnellate di sale all'ora.
Nel 1980 si è sperimentata la raccolta pluriennale, effettuata ogni tre o quattro anni, quando la crosta era abbastanza solida da sopportare il peso di autocarri, ruspe e di escavatori con conseguente scomparsa dei trenini. L'inquinamento dal 1985 ha messo un freno alla produzione del sale.