Reportage

L’evoluzione delle cure per i deficit psichici

Autore: Maria Sciola,
5 marzo 2014, 12:19
Oggi l'aiuto ed il sostegno alle persone affette da una disabilità psichiatrica ha preso una nuova forma ed un nuovo colore. Lo “psichiatrico” non è più discriminato ma viene stimolato all'integrazione sociale accettando le condizioni di diversità, rispettando e sostenendo la persona.
Dal catalogo della mostra "L'occhio della Cronaca" di Josto Manca. Archivio fotografico Unione Sarda

Un enorme cambiamento

Abissale è il cambiamento sociale nei confronti della visione passata:
Nessun diritto e nessuna considerazione al “folle”. Così, fino agli anni '90, i deficit psicologici venivano usati come escamotage  per relegare ai margini delle società gli individui che procuravano un disagio alla comunità.

Con la fine delle guerre e l'era industriale i casi di disturbi mentali aumentarono tanto che i governi dovettero muoversi per trovare delle soluzioni.

Nel febbraio del 1904 venne emanata la prima legge (n. 36) sui manicomi che annunciava la cura e la custodia di tutte le persone affette da un qualunque tipo di alienazione mentale.
Venivano rinchiusi nei manicomi non solo le persone affette da disagio psicologico ma anche alcolizzati, bambini indesiderati o affetti da malformazioni.

Negli anni '70, sulla scia di manifestazioni anticonformiste, la popolazione chiedeva a gran voce la chiusura dei manicomi.

Il movimento in prima linea per la chiusura dei manicomi era quello dell'antipsichiatria che si muoveva sulle idee esposte da Franco Basaglia in un libro del 1978 intitolato “Psichiatria e Antipsichiatria”
Sempre lo stesso anno, La legge Basaglia (Legge 180), impose la chiusura dei manicomi.
Molti, però, mantennero i battenti aperti per le persone già ricoverate. A Cagliari il complesso di Villa Clara chiuse i suoi cancelli l'11 marzo 1998.

Il manicomio di Villa Clara nacque nel 1892 sotto la direzione del Dott. Salaris.
Quella che fu l'ex villa estiva del Banchiere Pietro Ghiani Mameli, ribattezzata “Villa Clara”, era stata ristrutturata in modo che fosse in grado di ospitare un massimo di 500 pazienti, ma arrivò a contenerne anche 1800.
Il ricovero nel manicomio cagliaritano, prevedeva i primi quindici giorni di estrema solitudine, legati ad un letto, in continua osservazione, dopo di che il paziente veniva dichiarato“sano di mente” o affetta da disturbi psichiatrici e quindi internata.

Nel manicomio i giorni e le notti non avevano distinzione, le cure alla persona erano in realtà immani torture, li dove la società non voleva vedere e nascondeva il più possibile.

“[...] abbiamo bisogno di guardare a queste persone senza paura,
guardarle come esistenze diverse dalle nostre,
come a diversi nel senso proprio di diversamente dotati.
Ci si può fermare ad ascoltarli come esseri umani
che hanno un modo di pensare “strano”,
un modo di vivere fuori norma […]
per la società sono vite mancate.
Vite che possono insediarsi in ogni famiglia e non escludono nessuno:
tutti noi ne siamo, più o meno, candidati.”

dal libro I miei matti di Vittorino Andreoli