Reportage

Il documentario in Sardegna: un’Isola raccontata da oltre un secolo

Autore: Giulia Antinori,
5 luglio 2007, 12:21
La realtà sarda raccontata dai sardi. Questo è fare documentari in Sardegna.

40 anni di Sardegna nelle riprese di Salvatore Sardu

Le sue prime riprese sono state quelle dell'occupazione della facoltà di Economia e commercio di Cagliari, nel '67, e da allora non si è più fermato. Attento osservatore dallo spiccato spirito critico, Salvatore Sardu, oggi il più grande documentarista sardo per numero di lavori, riconoscimenti e fama, è stato tra i primi in Sardegna a fare del raccontare la sua terra un lavoro. "Fare documentari nell'Isola non è tanto una moda - ha detto - piuttosto un bisogno: bisogno di tornare all'intelligenza dopo anni di fiction stupide". Non usa mezzi termini Salvatore Sardu e fa subito il punto su quella che pensa sia la caratteristica principale di un lavoro documentaristico: raccontare con intelligenza.

Circa 40 anni di lavoro e oltre 100 lavori all'attivo, con vhs, dvd tradotti in varie lingue e partecipazioni con la Rai e altre tv private. Ma la passione per le riprese è nata in effetti per caso, comprando una cinepresa a sole 17mila lire, allora circa metà del suo stipendio di insegnante. Una 8 millimetri Lumicon che si rivelò davvero un vero affare, perché gli aprì le porte del mondo dei documentari, spronato e sostenuto da Fabio Masala, fondatore della Cineteca Sarda e direttore regionale della Società Umanitaria per oltre trent'anni. Il resto l'ha fatto la passione. "Quella di stare in Sardegna è stata una scelta importante ma per niente sofferta - ha raccontato - amo la mia terra e ho capito fin da subito di volerla filmare e raccontare". La realizzazione del primo vero documentario è stata più che altro una sfida. Era il 1968 e l'amico e scultore Pinuccio Sciola stava iniziando la trasformazione di San Sperate, dov'è nato, in "paese museo", con dipinti sui muri e sculture nelle vie: da qui l'idea di documentare le varie fasi del lavoro con "Nasce il paese museo".

Degli anni di esordio, che segneranno in qualche modo tutta la sua attività successiva, sono la "trilogia mineraria" con cui Sardu documenta il lavoro nelle miniere di Iglesias, Buggerru e Carbonia e gli scioperi del '68 contro le pessime condizioni di lavoro, il primo documentario di taglio ambientalista, su Sant'Antioco, e "Sardegna base Nato". Grande successo di pubblico e di critica per questi primi lavori, fino a arrivare al primo premio al Festival Internazionale di Montecatini con "Addì 11 Maggio", docu-film storico sulla strage di minatori del 1920 a Iglesias. Ma non solo, tra i tanti riconoscimenti nazionali e internazionali anche il primo premio assoluto, con "Buggerru, dove nacque la speranza", nel Video Scotch Trophy.

Negli anni '80 la svolta. Sardu acquista attrezzatura professionale e crea la sua casa di produzione, la Sarfilm, dove continua a lavorare anche con la importante collaborazione del figlio Andrea, che si occupa di video e web design. "Quella mossa ha bloccato un po' la mia libertà - ammette - ma era necessaria: la mia passione rimanevano i documentari impegnati, che potevo produrre solo grazie ai proventi dei lavori più turistici". Pochi infatti i finanziamenti esterni per il suo lavoro: "Mi è stato detto che sbaglio sempre l'approccio - racconta con un sorriso fiero - ma è solo che si tratta della mia passione e non mi voglio piegare ai voleri di nessuno".

Da 40 anni continua a raccontare la Sardegna attraverso prodotti "impegnati", i suoi preferiti, e documentari naturalistico-turistici, con cui presenta la sua Isola a chi la conosce poco: filmati sulle splendide coste, ma anche i paesini dell'interno, tradizioni popolari e non manca l'impegno per la salvaguardia ambientale.