Reportage

I gusti della tradizione e l'esperienza della lavorazione dall'alimentazione all'enogastronomia.

L'attrazione naturale: il piacere e l'esperienza dei sensi

La Sardegna in tema di alimentazione è un micro continente, raccoglie un immenso patrimonio di varietà gastronomiche e vinicole che cambiano nello spazio e nel tempo, conservando inalterato il suo gusto più genuino, riflettono non solo le caratteristiche climatiche ma anche la storia e la tradizione dell'isola.

Quando parliamo di cultura intendiamo l'insieme di norme, valori, principi, simboli che accomunano un gruppo sociale. Si tratta di caratteri appresi nel processo che ha inizio con la nascita e dura tutta la vita, in cui la famiglia gioca un ruolo fondamentale nel determinare l'identità di ciascuno di noi.

La storia dell'alimentazione sarda è stata influenzata da tutte le civiltà che vi abitarono fenici, punici, romani genovesi pisani catalani spagnoli piemontesi hanno forgiato i dettami della nostra cucina.
Il risultato sono dei piatti elaborati ma allo stesso tempo semplici, fatti con i prodotti offerti dalla terra e dal mare, preparati con cura e rigore certosino.
La stagionalità e la convivialità caratterizzano le portate di primi, secondi e dolci che vengono cucinati in ricorrenze e festività popolari e sacre. Condizionano famiglie, paesi e città che attorno alla preparazione del cibo e delle bevande si uniscono e organizzano la loro giornata.
Il cibo diventa un momento di condivisione delle tradizioni.
Si pensi a tutti i riti che annualmente vengono seguiti durante la vendemmia, dove familiari e gruppi di amici si uniscono nella raccolta delle uve e nella preparazione del vino.

Alla passione per il buon cibo si affianca un modo tutto “nostrano” di stare a tavola.
È un momento importante per chi sta a tavola ed è un fattore determinante per il benessere generale. Per dirla alla Pollan  “Il cibo non è una merce, non è un insieme di elementi chimici, è una rete di rapporti tra esseri viventi e non, tutti umani dipendenti gli uni dagli altri e radicati nel terreno, nutriti dalla luce del sole” .
I prodotti della terra madre, sono il filo conduttore che converge all'interno dell'alimentazione, il sole ne ha la maternità e le mani che li lavorano la paternità da artigiani.
I frutti della terra vengono rivisitati  nell'occhio contemporaneo, valorizzati e gli reinventati affinché la tradizione non sia un fardello del passato pronto ad essere gettato via, ma un pilastro identitario dell'orgoglio verso la propria realtà e la guida per interpretare il futuro.

Nella gastronomia sarda dominano le produzioni locali, la conformazione del territorio non è adatta a produzioni intensive. Persistono produzioni di piccola scala, che rispettano il ciclo delle stagioni e questa caratteristica permette, spesso, di avere un rapporto diretto produttore-consumatore, (che spesso coincidono).

Il gusto di sapere di più: tra tradizione e modernità

L'alimentazione è una pratica basilare quanto necessaria. Il cibo tuttavia è molto di più, riflette un suo valore sociale e dipende fortemente dal luogo, dalla religione e dalla cultura di appartenenza .
È uno strumento di formazione delle identità singole e collettive, che procede su due binari, da un lato il binomio cibo-cultura si traduce in “si è ciò che si mangia” dall'altro lato riflette l'identità culturale in cui ci si riconosce.
L'alimentazione è parte dell'esperienza individuale, mangiando ci costruiamo assumendo una forma precisa e per questo siamo ciò che mangiamo. Nella scelta del cibo si riconosce l'identità di un popolo.
Come disse Fisher: “l'uomo è tra due fuochi: il bisogno di variare e diversificare la propria dieta e il potenziale pericolo dei cibi sconosciuti, non solo per paura di conseguenze ma sopratutto perché è spaventato  dalle variazioni dei normali meccanismi di autoidentificazione sociale.”

Spesso si pensa i cibi che si è soliti mangiare abbiano una tradizione secolare o millenaria e inoltre tutti i processi di tecnologia alimentare intacchino la tradizione anzi che migliorarla. In realtà l'alimentazione è una pratica di lunga, lunghissima durata, e non sempre rispecchia i gusti della tradizione.

La cucina sarda è una cucina intatta che si conserva nel tempo, per la sua insularetà e per il suo ossessivo attaccamento alla tradizione. Nelle case la lavorazione del passato rimane  inalterata tra le generazioni e si tramanda nei decenni. Per esempio la lavorazione della pasta fresca in molte famiglie tutt'oggi avviene manualmente.
Tuttavia laddove la domanda di prodotto è più elevata, il dibattito è aperto: per quanto riguarda la lavorazione del pane, la sostituzione dei panettieri con le macchine e l'utilizzo di lieviti non originali. Tutti questi elementi convergono nel quesito dal risvolto dubbioso, ovvero se si possa ancora considerare tipico un pane che proviene da una lavorazione e da ingredienti diversi da quelli autoctoni.

Il pane è una caratteristica a se, è un cardine della cucina che viene preso in considerazione in molteplici settori, assume una sua valenza religiosa, protagonista di riti e festività. La sua varietà si modifica da un paese all'altro dell'isola. Se il Carasau è considerato il pane sardo per eccellenza, Civraxiu, Pistoccu, Guttiau, pane Moddhe, Sa Tunda, Su Maritzosu sono delle vere identità culinarie e culturali, che si snodano in tutto il territorio della regione con nomi, lavorazioni e accostamenti differenti. Oggi si può affermare che quasi in controtendenza di fronte ai ritmi sempre più veloci e i tempi sempre più stretti, si cerca di riscoprire il piacere della preparazione in casa o si preferisce la produzione del piccolo panificio artigianale.

La trilogia grano- vite- olio teorizzata da Braudel è presente in ogni civiltà e in ogni tempo, è evidente come questa si adatti ai luoghi, alle esigenze e agli strumenti. Ogni elemento circonda il nostro mangiare è sottoposto ai segni del tempo, è forgiato dalle forze economiche, sociali, politiche, religiose.
“Le piante non smettono di viaggiare e di rivoluzionare la vita degli uomini” le coltivazioni sono caratterizzata dalla mobilità, si muovono costantemente nello spazio-tempo e sono le vere protagoniste delle rivoluzioni sociali.
La melanzana di origine indiana e l'arancia portoghese furono introdotte nelle coste del Mediterraneo per diventare parte integrante della tradizionale dieta. La  diffusione  in Sardegna della pasta secca è attribuita agli Arabi, e la si trova nei registri di dogana di Cagliari già nel XIV secolo .
Benché si tratti di tipicità radicate nel tessuto socio-culturale dell'isola, la loro origine risale al epoca moderna e vanno a definirsi nel corso del Settecento e Ottocento. Fanno eccezione alcune pietanze medievali, come Sa Panada, e preparazioni come Su Scabecciu che sembrano, invece, non risentire delle influenze culinarie esterne.

In origine gli indoeuropei ricavavano dal miele una bevanda alcolica, presente nei documenti di molte civiltà. La bevanda fu poi sostituita con il vino di bacco nei Romani, i quali erano soliti miscelare vino e miele, il così detto Mulsum. Solo nel Medioevo il miele iniziò lentamente a scomparire sostituito dalla canna da zucchero.
L'utilizzo delle spezie viene solitamente ricondotto alle popolazioni orientali, tuttavia nei quaderni delle monache di Santa Caterina di Cagliari del 1710 è evidente quanto frequentemente utilizzassero le spezie, in particolare il pepe.

Se oggi vengono prediletti i cibi locali, rifiutando quelli su scala globale è perché si ritiene che la produzione in serie abbia più tolto che non arricchito l'alimentazione, che l'abbia appiattita riducendo i cibi a un semplice mezzo necessario per la sopravvivenza, privo di qualsiasi valore.