Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Questa città si sta strangolando da sola»

Fonte: L'Unione Sarda
1 marzo 2010

Sfogo dell'assessore all'Urbanistica dopo la sentenza che conferma lo stop dei lavori a Palazzo Aymerich 

Campus: non si riesce a fare nulla, ormai le regole non servono più

L'assessore: «Mi angoscia il pensiero che tutto possa essere messo in discussione in qualsiasi momento».
I nervi sono scoperti, la guerra sui temi urbanistici nella fase più delicata. Non è un caso che in Consiglio comunale la settimana scorsa una mozione presentata nel 2006 sulla tutela di Palazzo Aymerich abbia nuovamente infiammato lo scontro pluriennale tra i Poli proprio nei giorni in cui le polemiche toccano anche la magistratura. L'aula di via Roma ha riproposto, ancora più aspre, le divisioni tra chi (l'opposizione) ritiene che negli ultimi dieci anni si siano violentati il paesaggio e il passato e chi (il centrodestra) teorizza da sempre il connubio tra tutela della storia e sviluppo.
Certo è che lo sfogo del solitamente cauto assessore all'Urbanistica, in aula e nei giorni successivi, è rabbioso: «In questa città vige il culto dell'interdizione: non si riesce più a realizzare nulla, nemmeno progetti, come Palazzo Aymerich, Tuvixeddu o i percorsi meccanizzati, che hanno percorso un iter lunghissimo e che hanno ottenuto tutti i via libera secondo le regole. Questa città si sta strangolando da sola». Il riferimento è al blocco dei lavori di restauro del rudere di Castello e alla sentenza con cui la seconda sezione del Tar il 19 febbraio scorso ha confermato la validità delle ragioni con cui la soprintendenza ai beni architettonici ha avviato l'iter per il riconoscimento del “notevole interesse storico-artistico” di un edificio, semidistrutto durante i bombardamenti del '43, bloccandone i lavori a sette anni dall'inizio dell'iter che ha portato la Dac, l'impresa che stava curando il restauro, a ottenere la concessione edilizia.
LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI Un passo indietro per capire meglio. Il 25 marzo del 2003 e il 16 novembre 2005 il Consiglio comunale approva il programma integrato del centro storico denominato “Restauro” dopo che nella conferenza dei servizi del 26 marzo 2002 il rappresetante della soprintendenza ai beni archeologici aveva espresso parere favorevole chiedendo però di inserire un vincolo sul confinante palazzo De Candia. Nell'agosto 2005 la Dac presenta il progetto di ricostruzione di Palazzo Aymerich: prevede il restauro dell'edificio storico di via dei Genovesi e, tra l'altro, la cessione gratuita al Comune di una parte del palazzo da destinare a laboratorio per il cento storico e uffici della circoscrizione. Il 16 marzo del 2006 l'amministrazione civica rilascia l'autorizzazione paesaggistica e il 24 aprile la soprintendenza dà un altro via libera. Il 25 luglio arriva la concessione edilizia e il 30 novembre iniziano i lavori.
LA PROTESTA È in quel momento che un gruppo di residenti, ambientalisti e alcuni consiglieri comunali del centrosinistra iniziano una battaglia: si susseguono esposti alla Procura, richieste di intervento di assessori, ministri, carabinieri del Noe, Corpo forestale. «Non si può demolire un edificio del '600 per far posto a un palazzo», lamentano. Lo scrittore Giorgio Todde esemplifica: «È come se si costruisse sui Fori imperiali». Dal Comune replicano: «Il progetto di restauro è accurato, tanto che la Regione (al governo c'era Renato Soru, ndr) lo ha citato in Restauronet, un volume diffuso a livello comunitario dove vengono elencati i migliori progetti di qualità residenziale. Eppoi», aggiungono, «è stato oggetto di conferenze dei servizi, è al centro di un progetto integrato, ha avuto l'ok delle soprintendenze ed è passato per due volte in Consiglio comunale. Senza che nessuno obiettasse nulla».
IL PRIMO BLOCCO Certo è che dopo meno di due settimane c'è il primo stop: il 13 dicembre 2006 la soprintendenza lamenta che non è stato trasmesso il progetto esecutivo e ordina la sospensione dei lavori. Che ricominciano il 20 dicembre. A due condizioni: i tecnici del ministero devono seguire lo sgombero delle macerie per verificare eventuali presenza archeologiche e controllare le opere di scavo.
IL COLPO DI SCENA Poi il colpo di scena: nello stesso giorno in cui il Comune autorizza la prosecuzione dei lavori la stessa soprintendenza che aveva dato tutti i via libera avvia il procedimento per il riconoscimento del “particolare interesse storico del palazzo” e ordina l'immediata sospensione dei lavori.
IL TAR: STOP GIUSTO L'impresa ricorre al Tar. Lamenta la contraddittorietà delle decisioni della soprintendenza. Ma i giudici danno torto alla Dac e confermano la legittimità dell'ordine di sospensione dei lavori: «La porzione di Palazzo Aymerich che ancora si conserva potrebbe includere importanti resti di epoca medievale nella sua parte basamentale, mentre in elevazione presenta le caratteristiche compositive dovute all'architetto Cima alla metà dell'ottocento». Quanto alla contradditorietà, il Tar non la vede perché «alcuni documenti sui quali si fonda l'iniziativa di tutela erano sconosciuti al momento della conferenza dei servizi».
LO SFOGO DI CAMPUS «Quel palazzo è stato bombardato nel '43 e da allora era abbandonato. Possibile che ci siano voluti 60 anni per accorgersi che era da vincolare? Mi sono sentito dire che in questa Giunta manca la pianificazione, ma è vero esattamente il contrario: Palazzo Aymerich è stato al centro di un finanziamento europeo, come Tuvixeddu e come i percorsi meccanizzati, che vennero approvati all'unanimità in Consiglio comunale. Queste scoperte tardive», lamenta Campus, «hanno un solo obiettivo: impedire che si operi. In questa città non si riesce a fare nulla, nemmeno le cose giuste. Nessuno pensa a quanti fondi stiamo perdendo e a quali contenziosi ci stiamo esponendo? Ma è possibile che chi ha approvato questi progetti non si senta turbato a bloccarli poco dopo? Non si pensa che bloccare un progetto realizzato seguendo tutte le regole significa violare le regole stesse? Mi angoscia il pensiero di non avere più nessun margine di manovra, il pensiero che tutto può essere messo in discussione in qualsiasi momento. Il mio non è uno sfogo», conclude, «è un grido di dolore da cittadino prima che da assessore».
FABIO MANCA

01/03/2010