Storia di un amore tradito e di un tradimento punito, quella de “La Bayadère”. È l'India favolosa a far da sfondo al balletto di Marius Petipa su musica di Ludwig Minkus andato in scena venerdì sera al Teatro Lirico di Cagliari. Per quanto decimato dalla concomitante partita Italia-Francia e dall'ennesimo sciopero degli aderenti ai sindacati Libersind, ConfSal e Snater (che ha costretto la direzione del Lirico a ricorrere alla musica registrata) il pubblico ha accolto con favore la coreografia interpretata dal Balletto del Teatro Nazionale di Brno.
Sontuosi, i costumi ideati da Josef Jelìnek sono un tripudio di sete e di oro interrotto solo dal rosso del manto, ampio come ali rapaci, del Grande Bramino che è l'anima nera dell'intera vicenda. L'incontro fatale tra Nikija, la danzatrice sacra e Solor, nobile guerriero, avviene tra i crepitanti fuochi accesi dai fachiri. È notte al tempio, il luogo dove i due si scambiano voti d'eterna fedeltà. Ma il destino avverso si nasconde sotto le vesti lucenti della figlia del Maharajah, invaghita a sua volta di Solor e decisa a sposarlo. Cosa che avviene, per lo strazio di Nikja costretta a danzare alla festa di fidanzamento della rivale. Danza mortale poiché dal cesto di fiori che lei stringe al seno spunta un serpente velenoso che la morde al collo. Rifiuta l'antidoto, la baiadera, e lancia lontano l'ampolla salvifica offertale dal Grande Bramino, forse pentito di aver innescato un meccanismo tragico. Pieno di quadri vivaci, il balletto rielaborato e diretto da Jaroslav Slavicky alterna vari registri narrativi unendo nelle scene sobrie e saldamente tradizionali di Ivo Zidek, le atmosfere romantiche agli esotismi.
Sul palco, per due ore, si avvicendano movenze classiche, ritmi improvvisamente accelerati, sipari trasparenti, fluttuare di tessuti, idoli di bronzo e mezze nudità. Impossibile sottrarsi all'incanto, all'inizio del secondo atto, delle ventiquattro ballerine in tutù bianco che sbucano dalle quinte e scendono ad una ad una su un piano inclinato: una sequenza ispirata alle illustrazioni di Gustav Dorè per il Paradiso di Dante. Siamo ormai nel Regno delle Ombre, un al di là dove Solor, inebriato dai fumi dell'oppio, riabbraccia nel sogno la sua amata ripudiata. È stato un vile, il guerriero cacciatore di tigri. Arrogante nella sua protervia, la maharani Gamzatti ha preteso un cuore che non le apparteneva. Davanti ai ritratti dei baffuti possibili mariti che il principe suo padre le propone, sceglie e ottiene Solor, colui che si è legato a un'altra. Complice di tanta nequizia, o gran burattinaio, il Grande Bramino che aspira invano alle grazie della flessuosa Nikija. La vittima però, la dolce Bayadère, sarà vendicata dagli dèi irati che scatenano un terremoto. Nel finale drammatico, i protagonisti corrono nel buio e nella confusione tra scrosci di pioggia e lampi sinistri, mentre le colonne del tempio crollato salgono verso il cielo. Gli spiriti di Nikjia e Solor, forse finalmente uniti, ascendono silenti sulle cime innevate dell'Himalaya.
ALESSANDRA MENESINI
19/06/2008