Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

L’utopia del verso, da Pecora a Rifka

Fonte: La Nuova Sardegna
8 febbraio 2010

DOMENICA, 07 FEBBRAIO 2010

Pagina 36 - Cultura e Spettacoli

Cagliari, a «Traghetti di poesia» l’universo filosofico dello scrittore libanese ha conquistato i numerosi spettatori



Un omaggio lirico appassionato dedicato all’opera del grande Sandro Penna




ENRICO PAU

CAGLIARI. L’ultimo viaggio dei «Traghetti di Poesia» è stato indimenticabile per i tanti spettatori-viaggiatori presenti nel bello spazio Search, ricavato nei sotterranei del Palazzo Civico. Fuad Rifka, poeta libanese era ultimo ospite dei tre giorni dedicati alla poesia.
Lo scrittore “tradotto” in italiano dalla voce emozionata dell’attrice Simonetta Soro, ci ha trasportato nel suo universo poetico. E’ una poesia fatta di poche cose, essenziali. Che si fonda sulla capacità di osservare la natura come farebbe un grande pittore paesaggista. Dentro quella natura appaiono immersi gli esseri umani insieme ad animali, alberi, elementi, senza gerarchie, creature di un universo in perenne mutazione, eppure in perfetto quasi idilliaco equilibrio. Il suo sguardo è insieme poetico e filosofico, ma la sua filosofia non è troppo lontana dalla vita comune, non è uno sguardo aristocratico il suo, non è oscuro il suo linguaggio, è come se la voce stessa della natura passasse attraverso le parole di questo poeta. Nato classico, autore di una poesia semplice, sorgiva e per questo altissima. Il suo ritratto del «Contadino» è memorabile. Vive in pace con il suo bue, sono amici, «invecchiano l’uno accanto all’altro e domani, quando uno se ne andrà, chi mai potrà salvare l’altro?». La domanda inquieta del poeta nasconde la riflessione potente del filosofo, lo sgomento che tutti provano davanti alla morte è qui tradotto in una forma quasi esopica, il bue e l’uomo partecipano allo stesso gioco della vita, provano lo stesso dolore. Versi potenti che ricordano il Leopardi del «Pastore errante dell’Asia» dove il poeta di Recanati accomunava tutti uomini e greggi nel dolore universale, fatti della stessa fibra di cui è composta la vita e il suo mistero. Di utopia e poesia ha parlato il filosofo e poeta Arrigo Colombo che ha letto un suo struggente poemetto «La canzone di primavera»: anche qui è la natura la protagonista. Una natura che piange e si stupisce, che diventa sfondo di una deposizione sacra dove Cristo si è fatto uomo, e la natura intorno è incanto di fiumi, pioppi, uccelli che volano, fissati sullo sfondo come nel dipinto di un grande pittore del rinascimento. Elio Pecora ha lasciato il suo segno nella seconda giornata, ricordando il “suo” Sandro Penna, poeta amato, studiato, forse inseguito nella sua conquista di uno stile limpidissimo, quasi epigrammatico, da lirico greco. Piccole poesie quelle di Penna che disegnano in pochi versi un profondo legame con la realtà colta nella sua essenza, in particolari, isolati per- come suggerisce Pecora “consegnarsi agli altri nella durata”. Una lingua pulitissima, quasi spoglia, frutto di un’onestà dello “sguardo” profonda e capace di arrivare fino ai giovani di oggi che continuano a comprare le sue raccolte, fatto quasi eccezionale, perché vedono in lui un poeta capace di parlare al mondo e insieme del suo mondo, fatto di rapidi incontri, osservazioni minute, sensualità, desiderio. Elio Pecora come la Spaziani parla di poesia con la consapevolezza del protagonista di un’epoca che ha avvicinato tutti i più grandi della letteratura italiana e li ha visti agire e produrre le loro opere, non solo poeti, ma romanzieri come Moravia, Gadda, la Morante.