Il caso. Nella ex cava in balìa delle intemperie, fregi, porzioni di capitelli, pezzi di frontoni, frammenti di architravi decorati
Preziosi reperti abbandonati da anni a Monte Urpinu
In altre città del mondo sarebbero in un museo. A Cagliari si abbandonano in una sorta di discarica, come se fossero vecchi water.
In qualunque altra città del mondo sarebbero un'attrazione. Li avrebbero esposti in un museo e verrebbero visitati ogni anno da decine di migliaia di persone. A Cagliari si abbandonano in una sorta di discarica, come se fossero vecchi water. E si lasciano in balìa di intemperie e dei vandali.
REPERTI ABBANDONATI Basta andare nell'ex cava di Monte Urpinu per verificare quanto Cagliari rispetti la sua storia. Immerse nella fanghiglia o seminascoste dalla vegetazione, ci sono colonne di trachite e di marmo, fregi, porzioni di capitelli, pezzi di frontoni, frammenti di architravi decorati. Alcuni reperti, ipotizza Donatella Salvi della Soprintendenza archeologica, potrebbero appartenere alla ex chiesa di Santa Caterina, una costruzione del 17° secolo demolita dalle bombe angloamericane.
Altri sono riconoscibili: sono le basi intarsiate e le colonne di uno dei due edifici dell'ex mercato del largo Carlo Felice, costruito nel 1886 e demolito nel 1957 per far posto ai palazzi della Banca nazionale del lavoro e della Banca d'Italia. In alcune pietre c'è ancora una malta, che - ma è solo un'ipotesi - potrebbe essere pozzolana , un materiale utilizzato fin dai tempi dei Fenici e perfezionata dai Romani che con essa costruirono e resero impermeabili i sistemi di adduzione dell'acqua come acquedotti e cisterne.
IL CANTIERE I reperti si trovano in un terreno comunale che confina da una parte con il parco di Monte Urpinu, dall'altra con il muro di cinta dell'ospedale Binaghi, proprietà della Asl 8. Lì, in un'area di qualche ettaro, davanti all'ingresso dell'acquedotto, l'amministrazione comunale sta realizzando, come si legge in un cartellone, “Interventi di rinaturazione, stabilizzazione ecosostenibile e realizzazione di un impianto di fitodepurazione”.
«NESSUN PERICOLO» Claudio Papoff, dirigente del servizio Verde pubblico del Comune, direttore dei lavori e coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione, spiega che i reperti «nessuno li tocca e nessuno li rovina» e che sono stati trasferiti in quell'area «sulla base delle indicazioni della Soprintendenza ai beni architettonici».
BENI DA PROTEGGERE Gabriele Tola, il soprintendente, dà una versione leggermente diversa: «I reperti erano all'interno di una grotta dei Giardini pubblici e quando il Comune ci ha riferito che avrebbero dovuto sgomberarla per farci dei lavori, abbiamo autorizzato il trasferimento, non la loro distruzione. Come questi beni vengano trattati è un problema del Comune, non nostro. È chiaro», aggiunge Tola, «che noi auspichiamo che siano tutelati, protetti quanto meno con una tettoia e valorizzati».
Quanto all'origine dei reperti, il numero uno della Soprintendenza ai beni architettonici conferma che le colonne sono quelle dell'ex mercato del Largo, «alcune delle quali si trovano davanti alla chiesa del Poetto» ma ritiene difficile che i frammenti di architravi decorati siano della chiesa di Santa Caterina. «Mi sembrano piuttosto pezzi di un'opera non finita, visto che non mi pare di scorgere tracce di distruzione da bombardamento».
«COPERTI DA UNA COLLINA» Che si tratti di reperti barocchi o romani, l'unica certezza è che sono abbandonati. Roberto Copparoni, presidente della Onlus Amici di Sardegna, lo segnala da almeno tre anni. E parla di «esempio di pessima gestione dei beni archeologici, culturali, architettonici e paesaggisitici». Anche per un'altra ragione: «Parte dei reperti sono scomparsi sotto una collina di terra realizzata negli ultimi mesi», afferma. E per sostenere la sua tesi allega una serie di foto che mostrano com'era lo spiazzo prima della realizzazione della collina.
Tola dice di aver suggerito al Comune di istituire una borsa di studio da destinare a un gruppo di studenti per una ricerca sulle origini di quelle pietre, «che si può fare soprattutto con la comparazione fotografica». Ma di non aver avuto riscontri. E alla domanda: che cosa avrebbero dovuto fare di quei reperti, risponde senza esitare: «Musealizzarli. Ma che cosa ci si può aspettare da una città che costruisce due banche sopra un pezzo di città romana e si dimentica sotto reperti straordinari?».
FABIO MANCA
27/01/2010
Da dove vengono
NEL ’57 SPARISCE IL MERCATO VECCHIO
Nel 1957, non senza polemiche, venne demolito il Mercato del Largo per far posto alla Banca d’Italia e alla Bnl. Era stato inaugurato nel 1886 su progetto dell’ingegnere capo del Comune, Enrico Melis, ed era composto da due edifici separati da una strada, l’attuale via Mercato Vecchio. Nel primo edificio (nella foto) dall’estetica moderna e con una copertura vetrata che permetteva l’ingresso della luce, si vendevano carni bovine e frutta e verdura.
LA DEMOLIZIONE E LA RICOSTRUZIONE
Il secondo complesso che costituiva il mercato era di aspetto classico e monumentale con la facciata ricca di colonne, quelle che oggi sono state buttate nella ex cava di Monte Urpinu. Si vendevano carni ovine, suine, equine, pesce e salumi. La decisione di demolire gli edifici venne presa nel '49, tra aspre polemiche, ma solo nel '57 si mise in pratica l'intento. Al posto del vecchio mercato nacquero quelli di San Benedetto e di via Pola.
LA CHIESA DI SANTA CATERINA
La chiesa di Santa Caterina dei Genovesi (nella foto), a cui potrebbero appartenere i resti marmorei abbandonati nella ex cava di Monte Urpinu, fu edificata agli inizi del XVII secolo e fu distrutta dai bombardamenti del ’43. Si trovava nella parte alta di
via Manno (accanto all’attuale “Zara”) non distante dalla Chiesa di Sant’Antonio.
Tanto che la strada fu divisa in due tratti e chiamata di Sant’Antonio e di Santa Caterina. Ma tutti la conoscevano come “Sa Costa”.
27/01/2010