Mostre. Le esposizioni di Andrea Forges Davanzati ed Erik Chevalier al Lazzaretto di Cagliari: diverse sensibilità, un filo comune
Quale fil rouge può unire due artisti così vicini (in parallelo al Lazzaretto di Cagliari fino al 14 febbraio prossimo) e così lontani? Due sensibilità, Andrea Forges Davanzati e Erik Chevalier, che hanno scelto, rispettivamente, la materia e l'immateriale, la natura e la memoria, la scultura e la stampa a getto d'inchiostro?
Nessun filo, apparentemente. L'accostamento proposto dall'assessorato culturale cittadino per il ciclo di mostre “Cagliari per l'arte in Sardegna”, giunto all'undicesimo binomio, funziona di primo acchito più per distanza che per assonanza, col comune denominatore di un allestimento per sottrazione, che non vuole saturare l'ampio spazio a disposizione, occupandone solo i primi tre quarti, col rischio che il vuoto finale della sala risulti, appunto, un vuoto.
Eppure, una volta entrati nella dimensione anche del luogo, così prospiciente il mare, la distanza fra le due proposte si colma idealmente grazie ad un elemento centrale sia in Forges Davanzati, sia in Chevalier: l'acqua.
Nel primo, l'acqua è ambiente d'elezione. Nell'acqua lo scultore milanese, trasferitosi anni fa in città, ha trovato un mondo di organismi mobili da tramutare in mobili sculture. Ha scoperto che quegli esseri preistorici - ciliati, fotofori, parameci - invisibili ma costitutivi, anch'essi, della catena dell'evoluzione, erano strutturalmente perfetti e si è impuntato con strumenti anche di calcolo, di fisica e di ingegneria, a tradurne il proprio vitale movimento in sculture.
Grandi o piccole come gioielli, di acciaio o di fibre naturali che siano, Forges Davanzati (di cui stasera alle 17, a Villa Satta, si inaugura anche la mostra “Paramecio Ciliato Riccio Madrepora”) ha avuto «la netta capacità di vedere nelle linee dei loro perfetti meccanismi l'estetica della perfezione», come scrive Alessandra Menesini nel duplice catalogo. Così, appaiono dinamicamente perfette, oltre che esteticamente risolte, le poche sculture di legno di giunco-manau e acciaio inossidabile presentate in precari equilibri, in continui moti oscillatori che ne stabiliscono, invece, una fondatezza strutturale e motoria.
Sono oggetti-sculture visivamente morbidi, adatti a interni rilassanti, presenze quasi da compagnia, mentre si legge un libro, in mancanza del supremo moto, e calore, delle fiamme di un caminetto.
La memoria dell'acqua torna anche in Chevalier, a unire un discorso complesso anche se non inedito. I suoi lavori sono una sequenza di plexiglas 60x60 dove, a getto d'inchiostro, sono stati stampati particolari secondari di foto di famiglia. Il personaggio illeggibile nell'angolino della fotografia, il bambino che giocava sullo sfondo, la risacca del mare, semplicemente: enucleati questi dettagli da diapositive anni '70, Chevalier li ha ingranditi trasformando le comparse in protagonisti, portando frammenti in primo piano. Ha dato forma a una personale memoria, scardinando riferimenti certi e facendo irrompere lo sfondo, l'incerto, l'indefinito.
Perché la memoria è stregata, appena la cerchi è già sfuggita, o ha assunto altre sembianze. Per esempio, le macrofotografie di particolari anatomici che l'artista accosta ai frammenti delle foto di famiglia, rompendo un ritmo altrimenti forse scontato, una volta scoperto il gioco.
«Gli album di famiglia, rassicuranti collettori di memoria, abbandonano la loro vocazione e sprigionano molecole di vite parallele», è scritto in catalogo. Vite parallele, organismi unicellulari e umane comparse, nel comune e differente rimando a liquida e vitale memoria.
RAFFAELLA VENTURI
23/01/2010