«Beata tua moglie che ti ha ogni giorno», fa una, tutta moine e henné e sospiri - come se ogni giorno Mango fosse così, solo a parlare di rondini e di amori.
Risate.
Applausi.
Un fischio di approvazione.
Mango sorride; china appena la testa; grazie, dice; e continua la sua lezione.
Aula magna della Scuola Civica di Musica, a Cagliari è una mattina di sole sghimbescio che non riscalda, è mezzogiorno, lì fuori c'è traffico, qui dentro c'è un pianoforte.
«Per favore, non chiamatela lezione».
E va bene, non la chiamiamo lezione. Ma Giuseppe Mango, detto Pino, detto Mango, 55 anni, 2 figli, 18 album, è davanti a studenti e professori per parlare di musica.
«Io non ho niente da insegnare. E insegnare non mi piace. E non mi piacciono neanche le scuole».
Per questo è qui; per raccontare, in una scuola, come la scuola va affrontata. «Perché c'è chi esce dal conservatorio eppoi senza uno spartito davanti non sa che fare. E questo vuol dire essere musicisti?».
Allora forse è vero che questa di stamattina non sarà una lezione, perché non ci sono scale da buttare giù a memoria o accordi da provare ad azzeccare: ci sono solo silenzi, e parole: parole da plasmare, sagomare, figurare, modellare eppoi parole da stringere forte. Parole da cantare. Parole che emozionino. Lì, qui, un attimo: quell'attimo, quest'attimo. «La musica ha un solo valore, è l'immediatezza. Per questo vi dico che cantare non è prendere bene le note, perché prendere bene le note è cosa normale: cantare è un'emozione. Che dura lo spazio di niente: e per questo è per sempre».
Come una notte all'Anfiteatro Romano, «quel vostro Anfiteatro che chiuderlo sarebbe un delitto»; come una notte, quella notte, fatta così, fatta di parole che sono forti perché sono vive: e cambiano, mai cristallizzate in concerti-fotocopia sempre uguali a un originale deciso sulla scrivania di chissà che discografico; come una notte, quella notte, fermata nella fotografia che oggi sta nel disco nuovo di Mango.
L'ha scattata, l'ultimo concerto all'Anfiteatro, il fotografo Peppuccio Trudu: a Mango è così piaciuta - quell'Anfiteatro, quelle luci, quelle magie - che l'ha voluta nel libretto del disco.
È anche per questo che Mango oggi è a Cagliari; ha un concerto, un nuovo concerto in primavera, al Palazzetto dello Sport, da annunciare, e un premio da ritirare. Maurizio Porcelli, presidente della Scuola Civica, glielo consegna a lezione finita, insieme al suo direttore Luigi Puddu: è una medaglia d'argento, la medaglia della città di Cagliari, di chi la ama, di chi la protegge.
Lui dice grazie; la signora tutta moine e henné e sospiri soffia baci sulle dita; qualcuno canta La rondine , che forse è la sua canzone più famosa, o forse è solo la più bella. O forse quella che ci ha fatto innamorare, una volta, un'estate, anni fa.
(«Perché, Oro dove la metti?, protesta qualcuno, per averti pagherei un milione o anche più, anche l'ultima Marlboro darei , e canta, cantano in due, cantano in tre, la lezione finisce che lo salutano così, con pezzetti di canzoni mescolati a sorrisi e finisce che Mango si emoziona un po').
FRANCESCA FIGUS
24/01/2010