VENERDÌ, 08 GENNAIO 2010
Pagina 1 - Cagliari
L’assessore all’urbanistica Giovanni Maria Campus racconta la storia di un fallimento
Adesso è a rischio anche la riqualificazione di Sant’Elia
ALESSANDRA SALLEMI
CAGLIARI. Il segno perduto, quello che Cagliari non ha voluto lasciare nella storia dell’architettura contemporanea. Giovanni Maria Campus architetto e assessore all’urbanistica racconta perché doveva nascere Bétile e perché, invece, il museo della civiltà nuragica è fallito.
«Quando leggevo Nembo Kid se compariva l’Italia in una delle sue storie - ricorda l’assessore - veniva disegnata la torre di Pisa. Oggi l’Italia, nel mondo, è connotata dalla ‘italian ciabatta’... E’ con l’architettura che si lascia il segno e noi, che non ne facciamo più, stiamo perdendo questa capacità. L’architettura internazionale avrebbe dovuto garantire la nobilità della nascita di un evento, il Bétile, che era un progetto di governance culturale del grande collegamento tra civiltà nuragica e arte contemporanea, un volo già compiuto dall’arte e dalla musica nel corso del Novecento. Non un incidente, non una mistificazione ma l’affermazione di una volontà condivisibile che aveva a che fare col ruolo della città e dell’isola. Ci sono altri esempi di musei catalizzatori di interesse: l’ultimo nato è a Gratz, la città austriaca conosciuta solo per le armi che respinsero i Turchi e oggi meta di visita per un bombolone dai colori strani, una provocazione che le ha dato grande visibilità. La volontà, del sindaco Floris e dell’allora presidente Soru, era di andare verso un’opera di emancipazione. Anche di ciò che c’era intorno. All’inizio non si sapeva dove farla. Si parlò del porto, ma ci sarebbero stati seri problemi logistici. La scelta cadde su Sant’Elia. C’era una volontà positiva, il sindaco mandava me ai tavoli di lavoro con l’impegno di realizzare qualcosa che, in altre parti del mondo, facesse dire a Cagliari c’è qualcosa da vedere».
Le polemiche cominciarono subito.
«Sì. Il disegno regionale per una tale opera era ostacolato da chi diceva che avrebbe fatto ombra alla cittadella dei musei. O che lo si poteva allestire alla Manifattura Tabacchi. Ma il punto era che per esercitare la sua funzione di governance ci voleva più di un fabbricato: doveva essere qualcosa che suscitasse la necessità di visitarlo. Con Sant’Elia, poi, sul mare, in un tratto di costa incompiuto, si sceglieva di rilanciare un quartiere. Dunque, le risorse cominciavano a essere individuate, ma ci volevano atti amministrativi, le aree non erano regionali, serviva una variante al piano urbanistico. Cominciò un tiraemolla politico sul da farsi a Sant’Elia. Venne chiamato Rem Koolash, non gli diedero indirizzi chiarissimi, qualcosa scricchiolava, ma Soru e Floris restavano saldi nell’intenzione di procedere».
Si fece l’accordo di programma, quello che, successivamente, il consiglio comunale di Cagliari non ratificò.
«Sì, ma prima di questo erano nate occasioni di conflittualità da altre parti».
Si riferisce a cosa?
«Tuvixeddu. Fu quello il luogo dove, in qualche modo, cominciò la fine di Bétile. Stavamo lavorando separatamente al problema della strada di Tuvixeddu che arrivava al Siotto, si tentava di trovare un’altra soluzione, ma successe l’irreparabile: la Regione confutò l’accordo di programma per Tuvixeddu, si passò dal tavolo amministrativo a quello politico, il partito del non fare ebbe il sopravvento».
Cosa c’entrava Bétile con Tuvixeddu?
«Che la diatriba sul secondo si riverberò sul primo. Si diffuse l’insicurezza di dare il via a una drammatica incompiuta. In consiglio comunale si formò l’opinione che sarebbe stato pericoloso firmare un accordo con chi dimostrava di non rispettare gli accordi. L’accordo di programma era indispensabile, sincronizzava tutto, come faceva altrimenti il Comune a mettere a disposizione un’area? Per ratificare l’accordo già firmato dal sindaco bisognava raccogliere tutti i documenti in 30 giorni, non bastavano. L’altro errore della Regione, insomma, fu di scegliere uno schema di accordo di programma di tipo nazionale e non locale, dove, prima, si reperiscono i documenti e, poi, si firma».
Perduta anche la riqualificazione di Sant’Elia?
«E’ indispensabile. Ma non ci sono finanziamenti. I 30 milioni di euro di Bétile sono andati a La Maddalena, i 30 di Area non ci sono».
Finirà che lo stadio si trasformerà in volano della rinascita?
«Un altro centro commerciale allo stadio metterebbe in ginocchio i negozianti».
Allora?
«Il problema è epocale. Ma non si può pensare di finanziare tutto con soldi pubblici. Ci deve essere un meccanismo di compartecipazione, dove il Comune mette le aree e diventa socio. Non è il momento di governare il malessere sociale, ma di far emancipare chi è vittima del malessere. Piccole opportunità come zona franca e lungomare possono contribuire».