Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Il cinema politico? «Se scaviamo bene....»

Fonte: L'Unione Sarda
18 dicembre 2009



Un maestro di impegno civile e passione politica. Francesco Rosi ha concorso a fare la storia del cinema italiano e in Sardegna lo si è voluto sottolineare. Ieri l'associazione culturale L'Alambicco (con l'amministrazione regionale, la Provincia e il Comune di Cagliari) lo ha premiato per la carriera illustre, dopo avergli dedicato una retrospettiva e un convegno di studi.
Prima della cerimonia, il regista si è seduto nella platea del cinema Odissea di Cagliari, insieme con gli addetti ai lavori, gli appassionati e le ultime generazioni di autori sardi (in sala i registi Salvatore Mereu e Peter Marcias). Le motivazioni del premio, lette da Patrizia Masala dell'Alambicco, si fondano in sintesi sull'eccellenza artistica di Rosi nel campo della regia e della sceneggiatura, sul cinema d'autore d'impegno sociale e civile, che ha portato sul grande schermo la “Storia italiana più recente”. Simbolica la scultura consegnata dall'ex allievo Roberto Andò. Si intitola “Le mani sulla città”, come la sua opera più contestata.
Dov'è finito oggi quel cinema politico che sembrava riprendersi con le opere Il Divo e Gomorra ? « Gomorra è un film realizzato magistralmente, con uno studio della violenza. Però il limite risiede nella mancanza dell'analisi del contesto. Il cinema politico non è mera esposizione della violenza, è quello che fa capire alla gente il rapporto tra le istituzioni e i personaggi corrotti responsabili della violenza», ha detto il cineasta napoletano spiegando poi il suo modo di fare cinema: «Quello che ho sempre cercato di fare nei miei lavori non è raccontare la violenza nella maniera più impressionante possibile, ma risalire alle origini di questa, che diversamente resta un fatto a se stesso».
Si è quindi soffermato sulla sua verità sugli anni Settanta, partendo dal suo Lucky Luciano : «Dai Settanta in poi tutta l'azione della criminalità è cambiata con l'arrivo della droga e Lucky Luciano è il “film del dubbio”, che accenna al protagonista quale orchestrante del traffico tra America Latina ed Europa. Nessuno può dare la sicurezza: il film non è uno strumento che serve alla ricerca della verità».
Qual è, quindi, l'idea di film per Rosi? «Quella di un mezzo per rappresentare la realtà. Se tale rappresentazione è opportunamente analizzata e studiata, può anche portare alla verità, ma francamente raramente ci si arriva». Piedi per terra su cosa sia il mezzo cinematografico, lo ha dimostrato anche riferendosi alla pellicola Il Divo , che tratta il caso Andreotti: «Sorrentino ha fatto ricorso al tono grottesco riguardante il modo di fare del personaggio. Ma mi sarebbe piaciuto anche un passo avanti per capire chi sono le figure determinanti che continuano a restare fuori dalla rappresentazione».
Nell'ultimo lungometraggio, La Sfida , parla di camorra, senza cadere nell'aspetto del folclore napoletano. Eppure sono molte le occasioni di cronaca italiana da affrontare dietro la macchina da presa. «A volere scavare nel nostro recente passato ci sarebbero molte vicende del terrorismo che però richiedono una documentazione non facilmente acquisibile nel nostro paese. Pensiamo che Marco Tullio Giordana sta preparando da cinque anni un film su Piazza Fontana». Ha poi regalato un ricordo di Gian Maria Volontè: «Non era un uomo facile, ma non abbiamo mai avuto discussioni ed era stimolante lavorare con lui. Lo mettevo al corrente passo a passo della sceneggiatura e lo portavo sui luoghi dove doveva agire come attore. Era geniale, un creatore e non solo un interprete. Sapeva suscitare suggerimenti e idee».
Siamo in una terra che rivendica un suo cinema. Si può parlare legittimamente di cinema sardo? «Credo sia legittimo nella misura in cui si facciano parecchi film che riguardino la società nella quale viviamo». Speriamo sia un fortunato augurio.
MANUELA VACCA

18/12/2009