In mostra fino al 31 gennaio Prima nelle sale del Ghetto, poi a Londra. Da domani in scena “99 click (+1)” prestigiosa collezione di fotografie. Una storia di incanti. di Donatella Percivale
Ci sono mostre che non scegli. Ti chiamano. Come un’urgenza. Mostre che entri e pensi: ma chi me lo ha fatto fare? Altre, invece, da cui esci che hai ancora il fiato sospeso perché, nel frattempo, sai di essere invecchiato. “99 click + 1” è una mostra così: urgente. Una corsa folle nel cuore del XX secolo, ingoiando gli scatti più crudi della storia della fotografia dominati dal bianco e nero. Luci e ombre, bellezza e convulsione. Come se da quella ininterrotta linea di “strappi” appesi ai muri arrivassero gas letali. Diane Arbus, Robert Capa, Dorothea Lange, Paul Strand, Elliott Erwitt, Irving Penn e ancora Alberto Korda, Ugo Mulas, Margaret Bourke-Withe, Man Ray, Tina Modotti: dagli obbiettivi dei più grandi non solo facce, incroci, morti, battaglie, bandiere e nudi. Ma perversione e amore. Morte e desiderio. Storie. Campi visivi che si popolano di dettagli, di significati, di scivolamenti di senso.
BELLA OPERAZIONE questa del Fondo Giov-Anna Piras, che domani, al Ghetto di Cagliari, regala al pubblico l’esperienza di una raccolta di prestigio destinata nella primavera del 2010 ad andare in scena a Londra. Novantanove (+ uno) capolavori della fotografia moderna (corredati da un bel catalogo con testi a cura di Giuseppe Pinna), che servono a restituire aspetti della realtà davvero poco scontati. Ogni fermo immagine è la registrazione perfetta di un frammento di vita (dalla gola buia della “Napalm girl” di Nick Ut, al fallo sfrontato di “Man in polyester suit” di Robert Mapplethorpe, ai fragili palazzi fantasma di “Beirut” firmati Gabriele Basilico) da cui sembra esalare la sostanza drammatica del reale. Poesie visive di rilkiana memoria? A ognuno la sua personale emozione. Quel che è certo è che oggi la fotografia, come e forse più della pittura nel corso di questi ultimi anni, sembra in grado di saper sviscerare le motivazioni dell’uomo, le sue inquietudini, i suoi naufragi, i suoi traumi, il suo eros. Perché c’è sempre un particolare latente, un’eco sommersa, un’increspatura capace di contenere il non detto, il non pensato, la parte invisibile dell’esperienza. Come ben sottolineato da Flavio Piras, presidente dell’omonimo Fondo, e artista tra i più eclettici dell’attuale scena artistica, “Sorprende che certe foto non siano state fatte ieri… Non sento la distanza, ma la vicinanza, l’eterno presente, l’assoluta contemporaneità dell’esperienza emotiva e intellettuale che le fotografie sottendono, riflettendola su di me. Se vedessi la tomba di quelli che sono morti, forse non ci crederei”. Strano? No, perché ogni foto è un piano di riverbero assolutamente personale, uno strappo del reale che, quasi per incanto, ieri come oggi, viene sintetizzato in un semplice click. ¦