Mostre. Tutti i lavori delle due cagliaritane in vetrina fino al 16 dicembre a Palazzo Regio
Giuseppina e Albina Coroneo, l'anima romantica di collages, ricami, arazzi
Dove sono le sorelle Coroneo? Quasi un'invocazione urlata la domanda di Gio Ponti rivolta pubblicamente al mondo artistico che si risvegliava dal trauma del secondo conflitto mondiale. Era il 1946 e si cercava di riannodare i fili spezzati dagli spaventosi disastri materiali e morali della dittatura e della guerra. L'eclettico architetto milanese richiamava tutti all'appello attraverso la rivista Stile : «Come state? Siete tutti vivi?». E chiedeva di due sorelle cagliaritane pressoché sconosciute: «Dove sono? Come stanno? Chiamandole, perché ricordiamo le loro piccole cose squisite che esponemmo alla Triennale, è come se chiamassimo tutti gli artigiani artisti d'Italia».
Giuseppina e Albina Coroneo non risposero: forse per la loro invincibile riservatezza, forse per lo choc dovuto alla città distrutta dalle bombe. O forse perché la rivista fondata e appena ripristinata da Gio Ponti non arrivava in Sardegna. Ripresero a lavorare, ma restarono nell'ombra.
Giuseppina è morta a 82 anni nel 1978, Albina se n'è andata - anche lei nel silenzio - a 96 anni nel 1994. Chi le aveva frequentate e aveva ricevuto un disegno, un quadretto, un pupazzetto, l'ha gelosamente conservato come reliquia di memoria.
Ora l'associazione culturale Arteficio ha radunato tutto quello che delle due sorelle è stato possibile trovare dopo una non facile ricerca; e ha messo su una mostra che fino al 16 dicembre è possibile visitare - impossibile non visitare - al Palazzo Regio. Merito anche del curatore Marco Peri (che si è occupato del catalogo Illisso, coinvolgendo Vittorio Sgarbi), oltre che della Provincia, del Comune e del Banco di Sardegna.
Ma cosa facevano quelle due sorelle sempre insieme, sempre nubili, sempre chiuse prima in Castello, poi nella Marina, infine a Stampace nel loro negozietto di antiquariato “La barcaccia”? Facevano figure: esprimevano il gusto gentile di anime romantiche con cuciti, ritagli di panno, carta colorata, collages, ricami, arazzi, disegni di moda, pupazzi, oggetti per la casa. Artigiane? Il titolo dato alla mostra indica una chiave interpretativa: L'opera di due sorelle artiste-artigiane .
Se si vuole stare al solco aristocratico che ha sempre separato l'abilità artigianale dalla cosiddetta arte colta, occorre dire subito che Giuseppina e Albina sono su quella superficie di raffinatezza indicata 75 anni fa da Giuseppe Biasi e Giulio Ulisse Arata, secondo cui di arte si deve parlare se l'artigianato è di nobile pratica. Vero è che certe produzioni ricavate dal patrimonio spontaneo popolare della Sardegna sono diventate nobili (perdendo il carattere folclorico e mantenendosi vitali) grazie al coinvolgimento di artisti tout-court via via chiamati a un'opera di modernizzazione del disegno, della forma, del colore: un'operazione evolutiva che porta i nomi illustri di Tavolara, Badas, Manca, Delitala, Ciusa Romagna, Mossa, Melis, Contini, Zedde. Parlare di artigiani artisti ha dunque un suo significato preciso.
Ma per le sorelle Coroneo c'è di più. Riferendosi al loro rigore formale, all'elegante armonia, al gusto sofisticato, all'unicità e non riproducibilità, Sgarbi esclude che la loro opera possa essere «equivocata come artigianato»: insomma, sono «artiste ragguardevoli». Marco Peri è d'accordo, e riconduce alla generale impressione critica di quel tempo ricordando che venne addirittura coniato il termine “maniera Coroneo” per definire una peculiare interpretazione espressiva e poetica. Erano artiste-artigiane quando parteciparono alla Mostra nazionale dell'artigianato Domus a Milano nel 1939; rappresentavano le arti applicate quando furono chiamate a esporre nella Triennale delle arti decorative del 1940 a Milano; erano artiste senza inutili aggettivi quando Tavolara le volle nella Mostra interprovinciale d'arte a Cagliari nel '39.
Loro che si dichiaravano «modeste artefici di ago e carte colorate» non si rendevano conto, probabilmente, di recepire ed esprimere - con armoniosa creatività tutta personale - lo stile collettivo dell'arte internazionale del loro tempo. Il tempo del Déco, che rapidamente si sostituiva al Liberty influenzando pittura, scultura, architettura, design, cinema, gioielli, abbigliamento, oggettistica, con opere di autori anche molto diversi fra loro, famosi o meno famosi, ma con un filo conduttore di elementi emozionali riconoscibili al di là della particolare caratteristica tecnica: la figura femminile, l'orientalismo, il classicismo sensuale ereditati dall'Art Noveau.
Giuseppina e Albina (ancora ragazze negli anni della Grande Guerra) erano quindi in pieno clima modernista quando confezionavano le loro figurine, delicate donnine in costume sardo romanticamente pensate e deliziosamente realizzate.
Poco conosciute anche se non distanti da artisti di miglior fortuna come Tarquinio Sini, Edina Altara, Antonio Mura, Federico, Melchiorre e Pino Melis, tanto per citare alcuni che volentieri esercitavano il talento artistico sui colori etnici della loro isola visti nella chiave esotica tanto cara al secessionismo. Né certamente erano di basso profilo sul versante del disegno e dell'illustrazione. Delle sorelle Coroneo sono rimaste le firme su riviste sarde e nazionali diffusissime (quali Mediterranea, Tutto, Il Giornalino della domenica di Vamba) accanto a quelle di Rubino, Angoletta, Mussino, Scarpelli, Tofano, Biasi, Delitala, Sini, Ciusa, Badas, Dessy, Mossa De Murtas, i Melis, Ciuffo, Pirari.
Poi molto cambiò. Regionalismo, esotismo, simbolismo cedettero il passo al cubismo, al razionalismo, al realismo, e anche le due sorelle dirottarono su un genere diverso: i loro pupazzi di stoffa, filo metallico e altri materiali rappresentarono una promettente presenza negli anni Trenta, ma su questa strada andò avanti soltanto Giuseppina. Che nei decenni successivi non era più quella cercata a gran voce da Gio Ponti. La sua novità era un mondo di poveri, emarginati, deformi, rassegnati, disperati.
Forse la «gravissima trasformazione operata dalla catastrofe della guerra» (come confidò a Nicola Valle), forse una presa di coscienza della realtà sociale, forse l'influenza delle emergenti sensibilità e forme d'arte, forse un po' tutto modificò il sentire della più grande delle due sorelle: ormai artista moderna e attuale, concentrata su figurette semplici, spoglie, del tutto contrarie al senso di languido sentimento che ispirava le donnine ritagliate su stoffa. Questo doloroso popolo pietosamente osservato e poeticamente riproposto ebbe eco nei più attenti circuiti artistici e culturali nazionali. «Scena di realismo talmente drammatico che si direbbe ideata da Giovanni Verga».
MAURO MANUNZA
10/12/2009