Palazzo Regio. Il critico d'arte ha inaugurato ieri la mostra dedicata alle due artiste cagliaritane
«Tiziano e Leonardo non mi divertono, preferisco gli artisti sconosciuti»
Con una lunga presentazione di Vittorio Sgarbi è stata inaugurata la mostra dedicata alle sorelle Coroneo.
La parabola delle sorelle Coroneo - dal Castello affamato e sotto le bombe della seconda Guerra mondiale, alle luci di Palazzo Regio - è la nemesi perfetta di due artiste che un po' per scelta e un po' per indole non hanno mai abbandonato una dimensione isolana e isolata. La loro forza sta in questo e Vittorio Sgarbi, critico-star che le ha scoperte quindici anni fa in una bottega d'antiquariato a due passi da Montecitorio, lo sottolinea più di una volta nel discorso fiume che apre la mostra, anche se non dimentica di aggiungere: «Nonostante tutto, hanno prodotto opere con una visione europea, sono delle artiste che sono riuscite a prescindere dall'ambiente che le circondava». Eppure le miniature fatte di panno lenci e fil di ferro, legno e carta da parati, racchiudono l'essenza dell'Isola: profili di donne sarde, pupazzi che impersonano figure comuni (“l'impiegato”, o “la bettola”) o tipiche (“la mazzina”), o collage «dallo stile Decò».
LA PRESENTAZIONE Il pubblico ascolta in piedi le parole di Sgarbi nella sala del Consiglio provinciale, dove l'associazione “Arteficio” e la curatrice Anna Maria Cabras hanno pensato di allestire la prima vera mostra completa (un primo assaggio si è avuto tre anni fa, nel 2006, grazie alla commissione pari opportunità del Comune di Cagliari) delle due donne vissute nel secolo scorso ma certamente «moderne, innovative e poliedriche».
Una gloria postuma che arriva quasi per caso, grazie alla ricerca dell'esperto ferrarese: «Il passato più vicino corre il rischio di essere dimenticato più in fretta del passato remoto». Anche perché «le Coroneo non avevano mai pensato di essere artiste. La loro non era una falsa modestia, ma la consapevolezza di esserlo in quegli anni: nei Trenta le donne che facevano arte erano mosche bianche, si affacciavano in un mondo dominato dai maschi. Se dovessi scrivere un dizionario dell'arte al femminile, tra il 1550 e il 1950, potrei parlare solo di 800 artiste. La conquista della parità è recente, tanto che dagli anni Cinquanta a oggi si sono fatte notare almeno 50 mila donne», dice senza dimenticare una delle sue doti preferite, la provocazione. Oggi, scrivono gli esperti, la «loro reputazione non è ancora pari al loro merito».
IL CATALOGO I lavori di Giuseppina e Albina Coroneo sono stati raccolti in un catalogo (“Coroneo, l'opera di due sorelle artiste-artigiane”, edizioni Ilisso) scritto a quattro mani da Sgarbi e Marco Peri, giovane (31 anni) storico dell'arte che è partito da alcuni scritti di Nicola Valle per ricostruire la storia delle due cagliaritane: «La mia ricerca si è basata anche sui giornali dell'epoca, che riportavano puntualmente nelle cronache il loro operato, che non passava mai inosservato». Nonostante tutto, hanno rischiato di finire nel limbo dei semi-sconosciuti, perfino nella loro Isola: «Non erano ambiziose, e tutto questo è dovuto alla loro ritrosia per la fama. Erano donne semplici, sensibili, ma non sfiguravano di fronte ai vari Tavolara e Melis. Ma i loro lavori non sono facili da comprendere: ci vuole tanta poesia».
E in questo elogio dell'arte al femminile, non è un caso che la mostra sia stata battezzata da tre donne. Dopo l'organizzatrice Anna Maria Cabras e l'assessore della Pubblica istruzione della Provincia Valentina Savona, la dirigente del Comune di Cagliari Ada Lai ha messo l'accento su «due donne che emozionano e incantano», aggiungendo che le sorelle Coroneo «entreranno in un circuito di mostre che porterà le loro opere nei paesi del Mediterraneo». Sarà un modo per farle conoscere anche oltre i confini della Sardegna e conservare la memoria delle due sorelle nate a Cagliari alla fine dell'Ottocento e apprezzate pubblicamente da Ubaldo Badas, Eugenio Tavolara, Gio Ponti, Ugo Ojetti e Giuseppe Biasi, con il quale si trova più di una somiglianza in diverse opere. Artigiane sopravvissute alle bombe piovute su Cagliari durante il secondo conflitto mondiale, che hanno trasferito il pessimismo e il dolore di quegli anni nelle loro bambole e nei collage. Dice Sgarbi: «In nessun artista si può trovare questo piacere educato. Loro si definivano “modeste artefici d'ago e di carte colorate”, artigiane-artiste. Ma il confine tra arte e artigianato si può abbattere tranquillamente, come il Muro di Berlino». Sul suo ruolo ammette: «Io non mi diverto ad occuparmi di Tiziano o Leonardo. La mia è una funzione di servizio, se un critico è conosciuto, è giusto che ponga l'attenzione su artisti minori». Senza di lui, probabilmente, i pupazzi delle due sorelle di Castello (oggi in mostra, fino al 16 dicembre, grazie ai collezionisti privati che hanno messo a disposizione le opere) sarebbero finiti in chissà quale soffitta. «Il loro essere donne e soprattutto i materiali utilizzati sono stati la causa della dispersione delle opere». Panno lenci, fili attorcigliati, carta colorata incollata come in un gioco. Ma non sono bambole. «È arte».
MICHELE RUFFI
22/11/2009