Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Macbeth, la tragedia di un assassino ridicolo

Fonte: L'Unione Sarda
13 novembre 2009




Macbeth è un dramma denso e appiccicoso, per dirla con Jan Kott. Il protagonista assoluto è l'Assassinio. La Storia, in fondo. Ma nella lotta tra Bene e Male c'è sempre un'indiscutibile grandezza: è gigante il santo, è gigante il criminale. Come Riccardo III. Macbeth invece è un sicario del suo dio di morte: fedele e di fatto inconsapevole. Nel gioco eterno degli scacchi ha il ruolo di un pedone macchiato, mosso da un incastro di ambizione e paura. Subisce un destino. Scaraventato nella Storia, cerca il potere e affonda nel sangue. Alla fine trova solo l'incubo.
Gabriele Lavia accentua la miseria del personaggio, attualizzandola, persino deridendola. E cancella ogni sospetto di eccezionalità nello sfondo di bassa macelleria. Sono qui l'originalità e il fascino della messinscena che ha aperto (peccato per la discutibile acustica) la Stagione Cedac del Massimo di Cagliari. Niente istrionismi, Macbeth si trascina, curvo e incerto, in una distesa di sabbia che ricorda il tempo, fra banchetti malinconici e carichi di tensione, teorie di sedie vuote, stanze da letto popolate di spettri. Il dramma è notturno e dunque le luci sono minime: gli oggetti ombre, le figure cupe. Macbeth-Lavia non è mai sfiorato dalla dignità del portamento, esteriore ed interiore. E la sua identità va oltre Shakespeare.
Ai lati della scena c'è un modesto camerino teatrale, dove fanno tappa indistintamente attori e personaggi. Non è solo un vezzo corporativo: la distanza fra microstoria e macrostoria si annulla, il gioco della falsità e dell'inganno si dilata. Sul palco e fuori c'è una folla che vuole truccarsi, allungare i tacchi, trovare un altro io. Splendida l'immagine in cui Macbeth sale su una scala per avvitare una lampadina: lento come un vecchio attore, stanco come un re sbagliato. Certo, il pizzico di metateatro sbiadisce davanti all'ipnosi del vero (o falso) dramma, ma il messaggio arriva chiaro. Magistrali i duetti tra Macbeth e la sua Lady attorno alla corona, che l'uno dimentica di mettere - quasi non volesse - e l'altra gli sistema ripetutamente sul capo. E perfetti i soliloqui tremanti e slabbrati di Lavia, per risolvere una volta per tutte il dubbio amletico. Lui è solo quello che potrebbe essere. Ma non sarà. Lo specchio dell'esistenza - la scena è colma di specchi - è un nulla color porpora.
Macbeth vorrebbe che tutto si risolvesse in un delitto e subito tornasse la pace. Invece, al suo posto, nella tavola imbandita, appare e scompare il fantasma di Banquo. E il sangue scorre e il delitto si moltiplica. Macbeth può solo agire, e non dormire. Sino a pretendere la morte di tutti quelli che hanno paura. Cioè tutti. Ecco la storia (o la favola) raccontata da un idiota. La Storia, perché i personaggi del dramma non vestono antico scozzese, ma ostentano divise militari (e civili) rigorosamente moderne. E imbracciano fucili. L'odore di polvere da sparo intride la scena, mentre i generali e i colonnelli, quando il nuovo re tremola sul trono, mettono un fiore all'occhiello e indossano il doppiopetto. Sembra il meeting di una cosca mafiosa. Dove Lady Macbeth (Giovanna Di Rauso) potrebbe essere la discinta pupa del gangster. Problema diverso il suo: è monomaniaca, l'ambizione le ha lasciato solo un paio di coltelli e una macchia. È desiderabile ma le sue nudità non fanno sesso. La risacca del sangue la travolge prima: la vita di Macbeth, se non altro, è allungata dalle profezie. Fino a quando un comico Seyton annuncia la fine.
Con le corone sbilenche, gli usurpatori sembrano una coppia di clown avviati a un declino indecoroso. C'è davvero qualcosa di felliniano qui e là. E Macbeth, mentre annaspa nel sangue, ricorda Ubu Roi: quando irrompono Malcom e Macduff, si nasconde addirittura in un baule di scena. Così si chiude il cerchio di questa messinscena dark, espressionista, cinematografica e affascinante: l'attore vive la sua angoscia quotidiana, Macbeth muore nel ridicolo. Non ha avuto neppure il tempo di indossare l'armatura calata da un dio beffardo.
ROBERTO COSSU

13/11/2009