Inchiesta. Viaggio fra le compagnie e gli spazi scenici della città per la prosa e la danza
Dal Comune fondi ad Akroama. Biffi: «Per noi costi alti»
Guida al teatro a Cagliari, fra pubblico e privato, compagnie finanziate e non.
Benvenuti nel teatro dell'assurdo ma, va chiarito immediatamente, nessuno si aspetti Eugene Ionesco o Samuel Beckett. Il teatro dell'assurdo è quello cagliaritano: teatri pubblici e teatri privati, compagnie senza sede e sedi senza compagnie, luoghi in cui gli occupanti pagano e luoghi in cui gli occupanti sono pagati. Come non definirlo, allora, teatro dell'assurdo?
LA SITUAZIONE Per capire come stanno le cose, si può partire dal tamburino de L'Unione Sarda . Lì, i teatri sono, ovviamente, elencati alla rinfusa (e ne compaiono alcuni che, con il tempo, hanno cambiato funzione: al Nanni Loy, per esempio, si fa prevalentemente cinema). Vale la pena di fare un po' d'ordine: quelli pubblici sono il Lirico (occupato dalla Fondazione), l'auditorium del Conservatorio (legato alla scuola), il Massimo (nella sala grande c'è il Teatro di Sardegna, la piccola, attualmente, ospita una rassegna di Is Mascareddas), il Civico (in questa fase, gestito direttamente dal Comune), la Vetreria (dove opera il Cada Die). Privati sono l'Alkestis (anche qui si fa spesso cinema), l'Alfieri e Sant'Eulalia (dove si è trasferito il Crogiuolo, dopo la chiusura del Teatro dell'Arco) e le Saline (dove fa la stagione Akroama). Poi ci sono una serie di altri piccoli teatri di quartiere, appartenenti a privati o parrocchie.
L'AUDITORIUM Un caso particolare è quello rappresentato dall'Auditorium, affidato da una delibera della Giunta comunale ad Akroama per la realizzazione della “Scuola mediterranea delle arti sceniche e varie”. Nella delibera è stabilito anche un finanziamento annuo (per tre anni) di 40 mila euro (ventimila dell'assessorato alla Cultura e ventimila dell'assessorato alle Politiche sociali). Nessuno scandalo, vista la funzione sociale della scuola. «Che», chiarisce Lelio Lecis di Akroama, «è stata già inserita dai giornali specialistici tra le prime dieci in Italia». I soldi del Comune? «La scuola di Bologna, all'ottavo posto, fa pagare circa 8 mila euro l'anno. Da noi, si arriva a 500 euro. E se c'è un giovane talentuoso ma senza denaro può anche frequentare gratis». Anche l'assessore alle Politiche sociali Anselmo Piras ha da fare una puntualizzazione. «La scuola dovrà a mettere a disposizione il teatro per non meno di cento giorni alle compagnie teatrali, enti, associazioni che ne facciano richiesta con un tariffario stabilito con delibera comunale».
LA POLEMICA Tra l'altro, Lecis puntualizza che lo spazio non è stato dato in affidamento ma serve, invece, per la realizzazione di un progetto. Che non piace soltanto al diretto interessato. Lecis mostra con orgoglio una lettera di operatori del settore che approvano il progetto: tra le firme, quelle di Domus de Janas, Palazzo d'Inverno, la Fabbrica Illuminata, Lucidosottile e Actores Alidos. Non tutti, però sono sintonizzati sulla stessa lunghezza d'onda. Altri teatranti hanno qualcosa da dire. «Non sull'Auditorium in particolare», interviene Giancarlo Biffi di Cada Die, «ma sul fatto che c'è una situazione paradossale: esistono teatri che vengono finanziati e altri, come il nostro, che devono pagare 30 mila euro l'anno per poter operare». Il Comune, si giustifica la dirigente Ada Lai, c'entra poco. «Non siamo noi a chiedere soldi a Cada Die. Quel teatro ha un rapporto diretto con chi gestisce lo spazio». Nessun dubbio su questo aspetto. «Ma la Vetreria», ribatte Biffi, «non riceve finanziamenti. E, dunque, i gestori chiedono soldi a noi». La sensazione di trattamenti non paritari c'è. «Noi», racconta Rita Atzeri del Crogiuolo, «ci ritroviamo a dover pagare per usare il teatro di Sant'Eulalia dopo che il Teatro dell'Arco è stato chiuso per il rinvenimento di una vasca romana. Niente da dire sull'Auditorium: certo che forse si sarebbero potuto coinvolgere in quel progetto anche altre realtà».
LA DANZA Situazione non facile per i teatranti. Addirittura disastrosa per chi si dedica alla danza. «Anche perché», spiega Ornella D'Agostino della Carovana, «noi abbiamo bisogno di spazi con determinate caratteristiche». Loro, i praticanti dell'arte tersicorea, devono fare i salti mortali (tutt'altro che coreografici). «Siamo costretti a provare nelle palestre». E, per di più, ci sono pochi soldi. «Nella ripartizione dei finanziamenti regionali è stato applicato il criterio della premialità: purtroppo, però, un nostro punto vale un terzo della musica e la metà del teatro».
MARCELLO COCCO
07/11/2009