Continuità territoriale, cronaca di un disastro annunciato per la Sardegna
Il nuovo anno si chiude come si era chiuso quello vecchio: problemi su problemi, rattoppi, corse affannose per provare a riparare l’irreparabile. Una cosa è chiara a tutti, tranne che alla politica: se non si cambia il sistema, andrà sempre peggio.
Il nuovo anno della Sardegna si apre esattamente come si era chiuso il vecchio: arrancando, arrangiandosi, cercando di mettere pezze spesso peggiori del buco e di riparare l’irreparabile. Certo, le feste sono passate e la Sardegna come sempre tornerà nel dimenticatoio nazionale, e non solo, fino almeno a Pasqua, per poi far esplodere puntuale come sempre il caso del caro trasporti quando sarò tempo di prenotare le vacanze estive. E allora si ricomincerà a protestare, a chiamare in causa l’Antitrust e Bruxelles e l’Ue e Mattarella e Meloni e chissà chi altri. Poi, smaltita la sbornia estiva e la bulimia da spiaggia e sabbia in valigia, calerà di nuovo il silenzio fino al prossimo Natale quando lo stucchevole, inutile e nauseabondo dibattito ricomincerà uguale a se stesso senza produrre un solo risultato utile alla causa.
Nel frattempo, il mondo va avanti e la Sardegna scivola indietro, dimenticata e umiliata quotidianamente. La continuità territoriale, con l’ultima beffa delle mancate offerte su Alghero e una compagnia su Cagliari mai sentita né vista né tantomeno sperimentata, promette un nuovo anno orribile ai sardi, a chi deve spostarsi perché ne ha bisogno o anche solo perché ne ha voglia, come è suo sacrosanto diritto fare senza essere spennati e senza doverlo programmare mesi prima.
La gestione politica della continuità territoriale via cielo e via mare è un disastro totale, su tutti i fronti: e mentre si racconta ai sardi la favola dell’inutile e propagandistica insularità in Costituzione, si continua a far precipitare l’isola nel baratro. Una cosa è certa: finchè non si cambierà modo di vedere, pensare e gestire la continuità territoriale così com’è, nulla cambierà e non potrà che andare tutto sempre peggio.