Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Avventure nello spazio interno

Fonte: L'Unione Sarda
28 ottobre 2009

A Cagliari una giornata dedicata allo scrittore inglese e alla sua “fantascienza” tra surrealismo e sociologia

Omaggio a J.G. Ballard, l'esploratore della psiche

Lo spazio e il tempo.
Ma non lo spazio esterno, il cosmo, le galassie che fanno da sfondo alle imprese di eroici esploratori. No: lo spazio interno. Ciò che a volte chiamiamo psiche. E quanto al tempo, è quello deformato degli orologi colanti di Dalì.
Tra queste due coordinate si stende una landa angosciosa e affascinante, un territorio esplorato lunedì pomeriggio al Lazzaretto di Cagliari nella serata organizzata dal circolo dei lettori Miele Amaro. È la patria letteraria creata da James Graham Ballard, lo scrittore britannico morto lo scorso aprile dopo aver creato libri come “Vento dal nulla”, “Foresta di cristallo”, “La mostra delle atrocità”, “Crash” e “L'impero del sole”.
Un autore di fantascienza, come è stato definito spesso e con troppa facilità. Più semplicemente: una voce narrativa tipicamente figlia del ventesimo secolo, quello che vide «il matrimonio tra incubo e ragione», come diceva il coordinatore della giornata ballardiana Daniele Barbieri. Quanto al matrimonio tra spazio e tempo e ai suoi esiti stranianti nell'opera di Ballard, è il tema messo a fuoco nel suo intervento dal ricercatore e scrittore Ignazio Sanna, particolarmente attento al rapporto tra l'autore britannico e il surrealismo di Dalì e Delvaux. Un'affinità che Ballard, anticonformista e culturalmente coraggioso, rivendicò anche quando poteva essere scomodo. In un'intervista dell'82, citata da Sanna, lo scrittore raccontava che nel suo primo romanzo, “Deserto d'acqua”, aveva inserito «un certo numero di riferimenti ai surrealisti: ricordo che Victor Gollancz, l'editore, volle che eliminassi quei riferimenti perché, ritenendo che il mio fosse un romanzo serio, pensava che lo avrebbero sminuito».
Una prospettiva non certo imbarazzante per il giovane J.G: il suo esordio - ricordava il saggista e traduttore Domenico Gallo - arriva negli anni Cinquanta con la letteratura da edicola, nel contesto della fantascienza più pop che si possa ricordare. Ma Ballard non è uomo da astronavi e mostri marziani, neanche da giovane. Tanto per cominciare è un cosmopolita, un inglese nato e cresciuto a Shanghai e poi passato per un campo di prigionia giapponese e un trasferimento in Canada. L'esperienza del mondo e delle catastrofi lo radicano nella fantascienza del decennio successivo, quella più “intellettuale” e affascinata dalle scienze sociali. È in questo contesto che matura la Quadrilogia degli Elementi: “Vento dal nulla”, “Deserto d'acqua”, “Terra bruciata” e “Foresta di cristallo”. Il filo conduttore, riassume Gallo, è sempre la solitudine dell'uomo davanti alla natura ostile.
I disastrosi cambiamenti climatici - siccità totali, scioglimento delle calotte polari con conseguente innalzamento dei mari e via profetizzando - privano l'homo sapiens delle sue indispensabili stampelle: la tecnologia e la comunità. Sono gli anni in cui Ballard approfondisce l'antropologia, l'ecologia e le neuroscienze, concentrandosi sulla possibilità che un nucleo antichissimo e ferino - opportunamente sollecitato - riemerga dal nostro passato “anfibio” del nostro cervello facendoci accettare la catastrofe e il nuovo mondo che essa disegna. Ecco quindi questi uomini post-culturali che si riorganizzano: «C'è una ritribalizzazione - sintetizza Gallo - e il sorgere di nuove leggende e nuove arti».
E si ha un bel dire che la fantascienza ipotizza ma non profetizza: è difficile rileggere Ballard e non pensare alle nuovissime acquisizioni della sociologia, a Sigmund Bauman e alla solitudine dell'uomo contemporaneo escluso dal rito comunitario degli acquisti se non è abbastanza prospero economicamente per potersi permettere di partecipare.
E tra le previsioni azzeccate dall'autore britannico, il sociologo e matematico Antonio Caronia inserisce anche il momento del Distacco: «Gli scrittori sono come le bestie, sanno quando devono morire». Per questo J. G. mette mano alla sua autobiografia quando gli resta davvero poco tempo, e sopravvive pochi mesi alla pubblicazione. Per che ha una consapevolezza biologica della fine che incombe, ma anche perché ha un'esperienza profonda e professionale della morte: come autore l'ha esplorata a fondo. Nell'intervento che ha concluso i lavori Jeannette Baxter, docente di letteratura inglese all'Anglia Ruskin University di Cambridge, ha delineato lo stretto legame tra l'autore di “Crash” e il tema dell'Olocausto. Caronia invece ha puntato la lente su “La prigione di sabbia”, con l'immagine agghiacciante degli astronauti morti che chiusi nelle loro navicelle continuano a orbitare attorno alla Terra. Ecco finalmente i razzi spaziali, ferro del mestiere di ogni fantascienziato. Li usa anche Ballard, ma come bare.
CELESTINO TABASSO

28/10/2009