LUNEDÌ, 12 OTTOBRE 2009
Pagina 22 - Cultura e Spettacoli
Un grande De Luca chiude a Cagliari la rassegna letteraria
ENRICO PAU
CAGLIARI. In un festival dedicato ai cambiamenti, alle mutazioni, uno come Erri De Luca ci sta benissimo. Quanto di più lontano si possa immaginare dalla placida biografia di uno scrittore tutto citazioni e salottini borghesi. De Luca è uno vero, tosto, con una storia lunga e, a giudicare dalla malinconia che vela il suo sguardo, anche dolorosa. Il dolore di chi ha vissuto i fallimenti di una generazione che ha sperato di cambiare il mondo e oggi si ritrova solo con il suo senso etico, e con un istinto morale incompreso. Eppure per De Luca quel momento storico fu una sorta di antidoto a una solitudine coltivata fin dall’infanzia napoletana. Origini borghesi, ma stessa frenetica curiosità per il mondo dei figli del popolo che si amalgamava in quella città densa come una casbah.
«Il cambiamento», questo è il tema della sua conversazione davanti al pubblico che numeroso affolla il «babbo parking» del festival «Tuttestorie» arrivato alla sua ultima giornata, un’edizione che ha visto come al solito il tutto esaurito nei laboratori, negli incontri con gli autori e nei tanti appuntamenti che hanno costellato queste intense giornate cagliaritane. Il cambiamento. Nella vita di De Luca scrittore di successo, i cambiamenti sono stati tanti, buoni studi, passioni profonde per la Bibbia, per le lingue soprattutto l’ebraico e il russo, e per i grandi poeti in cima a tutti la «poeta» come la chiama lui Anna Achmatova, ma una parentesi lunga quasi vent’anni come operaio in una fabbrica. Per coerenza e fedeltà alla sua passione politica vissuta nei movimenti giovanili di sinistra (Lotta Continua) che il mondo operaio avevano mitizzato. Il tutto in uno dei momenti storici più difficili della storia recente del nostro paese. Un uomo, non solo uno scrittore, che è rinato più volte. Cresciuto in una casa piena di libri, che per lui sono un elemento quasi materno, protettivo. Perché ti isolano dal mondo, a volte ti difendono dal freddo, isolano le pareti di tufo delle case napoletane, «un materiale vivo, cordiale», dai rumori di una città che non dorme mai.
«La città del sole» che dietro i palazzi «a mare» è buia e ostile per dei bambini che ci devono crescere e giocare. Una nonna americana dell’Alabama che ha lasciato tracce sul suo nome, Erri senza H e senza Y, e sul suo corpo, sugli occhi azzurri che lo fanno sembrare americano, lui che aveva la faccia dei soldati che occuparono la città dopo la guerra scaricando i loro desideri, anche i più bassi, su una società ferita, oltraggiata, che vedeva nella guerra stessa una condanna e insieme un grande affare. Quella guerra che per De Luca cambiò per sempre il senso di tutte le guerre future, con l’aviazione, che trasformò il conflitto con i bombardamenti in un atto di terrorismo rivolto alle popolazioni civili, inermi. Come oggi in Afghanistan, in Iraq o nella striscia di Gaza.
Quel bambino, che non voleva fare l’americano, d’estate partiva per tre mesi a Ischia, sull’isola, senza le scarpe ai piedi, scalzo, sporco, il corpo salato, un’infanzia privilegiata. L’isola gli ha insegnato che il mare è vita. Lui taciturno saliva sulle barche dei pescatori alla scoperta del mare. Ogni estate tre mesi, lunghissimi, che hanno consumato per sempre il suo desiderio di scoprire luoghi esotici. Tutto l’esotismo, tutte le Oceanie possibili, erano lì in quell’Isola che per lui ha significato la scoperta del mondo. Il mondo che per De Luca ha diverse unità di misura, una di queste è l’altezza, appassionato da sempre di alpinismo, si presenta in piazza San Cosimo con i pantaloni da rampicata, è stato dalle parti di Isili a scalare qualche falesia.
Prima di immergersi in questa ora e mezzo di narrazione, davanti a un pubblico che lo ascolta come un bambino ascolterebbe uno dei fratelli Grimm raccontare una delle sue storie, insieme affascinanti e terribili. Perché lo sguardo azzurro e malinconico di De Luca è pieno di memoria, la memoria viva di un uomo che è stato testimone e sembra avere pagato un prezzo per conquistare la sua libertà, quella libertà nata sull’isola, nata nel momento in cui decise di lasciare per sempre Napoli nel ’68, una città da cui andò via con sentimenti diversi: pietà, commozione, collera, disgusto.