Il rischio del «non mi hanno lasciato lavorare»
di Guido De Franceschi
Gli esordi di Renato Brunetta come ministro per la Pubblica amministrazione e l'Innovazione avevano riscosso entusiasmo. Sia tra gli elettori di centrodestra sia in molti cittadini che pur votando per l'opposizione non nascondevano il proprio apprezzamento per l'economista veneziano. Il suo piglio sicuro, di uomo poco avvezzo ai limacciosi meandri della politica e improntato a un pragmatismo ai limiti della sbrigatività, sembrava poter essere una risorsa per rompere certe ingessature del nostro Paese. Una scossa al conservatorismo italico, conservatorismo da intendersi etimologicamente: conservazione dei privilegi acquisiti, conservazione delle abitudini (specie quelle cattive), conservazione del posto pubblico anche in caso di scarsa dedizione al proprio lavoro. E anche se un'eccessiva insistenza su certi temi può avere la controindicazione di concimare l'antipolitica e il populismo, sembrava che la medicina brunettiana sarebbe stata comunque utile al corpaccione spesso poco efficiente della pubblica amministrazione. Qualche risultato, ad esempio la riduzione dell'assenteismo, è stato raggiunto. Eppure in attesa della maturazione di altri frutti della Rivoluzione in corso (come da titolo di un libro di Brunetta), negli ultimi mesi il Nostro pare essersi via via trasformato nel ministro della Puntualizzazione, del Proclama, delle Provocazioni, dell'Irritabilità e del Racconto autobiografico.
L'attività del ministro della Puntualizzazione si esercita soprattutto sull'informazione. Qualunque quotidiano pubblichi un articolo su Brunetta o un'intervista al medesimo può già prepararsi a impaginare un box sull'edizione del giorno successivo in cui ospitare la replica del ministro. Come ministro del Proclama, non c'è giorno che Brunetta non manifesti una nuova iniziativa, manco a dirlo, rivoluzionaria. Nessuno nel governo sa tenere il suo passo, salvo forse il collega Luca Zaia o qualche altro leader leghista particolarmente vulcanico. Della indefessa laboriosità del ministro delle Provocazioni sono pieni gli archivi. Dalle intemerate contro «fannulloni», «chirurghi macellai», «poliziotti panzoni» fino alle invettive contro «la sinistra permale», contrapposta a quella perbene, e «l'élite di merda» (ipse dixit). Il ministro dell'Irritabilità lavora soprattutto con gli intervistatori. Lo si è visto all'opera, ad esempio, in una puntata del programma L'Era Glaciale, quando la conduttrice Daria Bignardi ha storpiato il nome dell'ideatore dello Statuto dei lavoratori, dicendo "Brandolini" al posto di Brodolini. Da quel momento l'intervista ha preso le coloriture di un incontro di wrestling. In un'altra occasione, il ministro dell'Irritabilità approccia un colloquio con Francesco Esposito di Vanity Fair con un accomodante «ha studiato? Si è preparato per questa intervista?». E poi, mieloso, avverte: «Il vaffa ce l'ho sempre in tasca». Ma anche come titolare del dicastero del Racconto autobiografico, Brunetta è straordinariamente attivo. Ormai anche i più distratti conoscono ogni sfumatura della sua love story con la bionda Titti. Per non parlare della bancarella di souvenir gestita da Brunetta padre, rievocata suppergiù un milione di volte insieme ai ricordi di un'infanzia lontana dalla ricchezza. Al punto che Lista di Spagna, luogo in cui c'era il banco della famiglia Brunetta, ha offuscato quanto a notorietà altri toponimi veneziani, come piazza San Marco o Riva degli Schiavoni. In verità, però, un altro veneziano, l'ex big socialista Gianni De Michelis, recentemente scelto da Brunetta come consulente del suo ministero (quello vero, della Pubblica amministrazione), ha rivelato al Corriere della Sera che alla fin fine Renato non era poi "così povero come dice", visto che "le bancarelle di Lista di Spagna, di fronte alla stazione, erano le più ambite di Venezia: chi le aveva faceva i soldi".
Nessuno pensa che pur dovendosi dividere tra tanti altri dicasteri (e con il desiderio di correre come candidato sindaco di Venezia), Brunetta batta la fiacca come ministro per la Pubblica amministrazione. Ma forse più che puntare alla rivoluzione sarebbe più saggio e fruttuoso dedicarsi a un meno ambizioso riformismo. E se è vero che l'eccesso di cautele e di bizantini equilibrismi è un male antico della politica italiana, anche l'eccesso opposto, cioè l'assoluta mancanza di diplomazia e l'affrontare di punta ogni questione e ogni interlocutore, rischia di rivelarsi poco efficace. E di condurre a un futuro, non auspicabile, «non mi hanno lasciato lavorare».
29/09/2009