Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Omaggio a Dino Marchionni, l'urbinate che scelse Villacidro

Fonte: L'Unione Sarda
17 settembre 2009

Una retrospettiva che documenta la dimensione di un personaggio «assetato di poesia»

In mostra al Lazzaretto l'arte (e la vita) schiva e serena di un pittore-maestro

Il fatto che arrivasse da Urbino era già un biglietto da visita mica male: immaginario imprimatur raffaellesco e concreti passaggi accademici di nobile titolo. Comunque bastavano quei pochi disegni portati in cartella per capire che il ragazzo aveva la stoffa giusta. Il profilo di un uomo pensieroso appoggiato alla spalliera di una sedia - disegnato a matita e acquerellato con tenui colori d'interno - e il taglio deciso di alcune altre figure poco più che abbozzate con l'inchiostro di china apparivano tutt'altro che scolastici. Ed era controcorrente quel marchigiano Palazzo Ducale raccontato con segno sobrio, schematizzato in volumetrie geometrizzanti e reso tenebroso dall'unificante luce invernale: un acquerello di vago sapore morandiano, rivelatore di interessanti promesse estetiche nel panorama un po' ammuffito della Sardegna pittorica a cavallo fra i Quaranta e i Cinquanta.
Dino Marchionni aveva 22 anni quando nel 1954 approdò a Villacidro per le sue prime esperienze di professore di disegno. Lì trovò cattedra, moglie, famiglia, senso dell'esistenza. Affascinato, conquistato, infine entusiasmato dall'ambiente naturale e umano, vi piantò la vita. Vita schiva e serena di un pittore maestro. Quel che ha fatto nei successivi quarant'anni è adesso concentrato al Lazzaretto di Cagliari, in una mostra organizzata dagli assessori alla cultura del capoluogo, di Villacidro e del Medio Campidano. È una mostra che occorre andare a vedere perché colma un vuoto di mezzo secolo difficilmente spiegabile. L'urbinate di Villacidro «è rimasto, oltre che un isolato, praticamente anonimo, e ha lavorato solo per appagare la sua sete di poesia, soltanto per la gioia dei pochi che lo conoscono». Così Marcello Serra, in uno scritto di molti anni fa ancor oggi - tutto sommato - attuale.
Mancato nella piena maturità artistica (1994) dopo avere rinunciato all'insegnamento per poter soddisfare il totalizzante richiamo del pennello e del bulino, Marchionni ha trovato rara considerazione nella critica, nonostante alcuni momenti d'improvvisa notorietà (un premio Unesco trent'anni fa, un bel volume dedicato alle cattedrali graffitate su cera dieci anni or sono, un parco verde intitolatogli a Villacidro, finalmente un'importante antologica al Teatro Lirico di Cagliari due anni fa). Proponeva una serie di lavori realizzati tra il 1982 e il 1994.
La maggior parte delle opere resta nelle collezioni private, ma una sintesi custodita in famiglia e nella galleria villacidrese Perlarte è esposta al Lazzaretto fino al 27 settembre. A cominciare dal severo Palazzo Ducale di Urbino (1950) per arrivare all'ultima delle sue cattedrali romaniche ('94), passando per una lunga serie di preziosità che testimoniano sorprendenti sentieri di poliedricità stilistica.
Si direbbe che nell'accostarsi al cavalletto Dino Marchionni abbia ogni volta seguito i suoi occasionali stati d'animo, piuttosto che andar dietro a una linea progettuale. Così il monotipo Mimose degli anni Sessanta rivela una ricercatezza naturalista che si ritrova in tante delicatezze dei decenni successivi (brillantissimi fiori di mandorlo, gigli, violino), ma ha una cifra monocromatica simile ad altri lavori di differenti periodi, impostati su valori tonali tendenzialmente terrosi, luminosità graduate fra l'ocra il marrone e il nero, tratti nervosi e materici, disegni complessi. È un graffito su cera del lontano '66 - eppure stilisticamente collegato ad analoghe incisioni degli anni Ottanta - l'inquietante Simbiosi del pastore quasi assorbito dall'antica quercia attorno a cui si muove il bosco: scenario impressionante di misteriosa spiritualità, accentuata appunto dal segno inquieto e dalla tavolozza ridotta a pochi colori di tetra profondità.
Di diverso genere i paesaggi solari riprodotti nella ciclicità di quei decenni: vallate, crinali, ruscelli, piante, scorci di paese, case rurali, panorami di respiro visti con animo lirico e resi con schemi a piena superficie con subconscie memorie che mischiano ispirazioni rinascimentali, impressioniste, espressioniste, simboliste (vedi gli aperti significati allegorici della Venere del '75, ma anche la generale visione di una natura interpretata nei suoi misteriosi respiri).
Sono completamente differenti per stile e tecnica le raffinate facciate delle chiese preromaniche e romaniche della Sardegna minuziosamente riprodotte nel trionfo delle loro architetture: una dozzina di capolavori irripetibili, di straordinario effetto, che emergono in tricromie luminose dal buio di tempi. Elaborate lungo una quindicina d'anni attraverso il difficilissimo procedimento del graffito su cera, nel 1998 sono state raccolte in un elegante volume realizzato dall'editrice Progetto Sardegna (Quartu) su commissione del Comune di Villacidro e della presidenza della Regione. Marchionni non ha potuto vederlo: l'ultimo lavoro (il santuario di Bonaria a Cagliari) è l'unico firmato e ha la data del '94. Pochi mesi dopo l'artista venne a mancare, lasciando l'eredità in questi giorni esposta al pubblico. Fra l'altro, alcune perle che da sole varrebbero una mostra: disegni realizzati negli ultimi anni di vita con un incredibile uso puntillistico della biro, unici anche questi. Vedere per credere.
MAURO MANUNZA

17/09/2009