Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Case popolari, Deidda: «Il patrimonio Erp è troppo vecchio»

Fonte: L'Unione Sarda
29 agosto 2019

Prendersela con la politica, con le amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra che si sono alternate alla guida della città? Legittimo. In fondo, si sarebbe potuto programmare una manutenzione periodica degli edifici destinati all'edilizia popolare. Ma c'è un problema a monte: quei palazzi, realizzati tra gli anni '50 e '70, non furono costruiti, per così dire, a regola d'arte. C'era da cercare un tetto per tutte quelle persone che, lasciate le campagne, decidevano di venire a vivere in città. E, perché negarlo?, dare una casa a una famiglia poteva significare anche garantirsi un bel pacchetto di voti.
I palazzi
Così furono realizzati edifici in fretta e furia. Edifici che, dopo cinquanta, sessanta anni di vita, sono praticamente giunti al capolinea. «Anche le manutenzioni», afferma l'assessora all'Edilizia pubblica Gabriella Deidda, «non sono più sufficienti. I palazzi costruiti nell'immediato Dopoguerra, come quelli, per intendersi, di via Seruci, sono ancora in ottime condizioni. Quelli realizzati dopo, negli anni del boom economico, invece, mostrano in maniera sempre più evidente l'usura del tempo. La verità è solo una: il nostro patrimonio Erp è vecchissimo».
Il futuro
C'è una parola che, ormai, non è più un tabù. Una parola che, ultimamente, è risuonata spesso a proposito dei palazzoni di Sant'Elia (che, comunque, fanno parte del patrimonio di Area e non di quello comunale): demolizione. «Stiamo riflettendo sull'opportunità di abbattere quei palazzi la cui ristrutturazione peserebbe in maniera pesante sulle casse comunali e ricostruirli ex novo». Una soluzione che, tutto sommato, piace a tanti. A cominciare dall'ex consigliera comunale Marisa Depau, una vita («Ho iniziato», racconta, «in occasione di un'assemblea popolare a Sant'Elia nel 1974») spesa a combattere al fianco di chi vive negli alloggi popolari. «Mi sembra», sostiene, «una soluzione che può essere presa in considerazione. Ma, prima di tutto, occorre ripensare a tutto il sistema: non si può continuare a creare ghetti. Faccio un esempio: la Regione ha deciso di spostare i propri uffici in viale Trieste. Perché, invece, non spostarli a Sant'Elia e creare edilizia popolare in quella strada»?
Il presente
Una strada da percorrere quella delle demolizioni. Ma deve essere pensata, metabolizzata. Intanto, tantissime persone vivono nel degrado: topi, umidità, infiltrazioni. E, addirittura, soffitti che cadono, mettendo a rischio la vita dei residenti. «Proprio per affrontare queste emergenze», riprende Deidda, «abbiamo attivato quattro appalti da 450 mila euro ciascuno per intervenire prontamente. Qualche giorno fa in via Emilia, per esempio, la squadra è entrata immediatamente in azione. In seguito si è provveduto anche a controllare altri edifici della zona con le stesse caratteristiche del palazzo in cui è avvenuto il crollo».
I soldi
Un milione e novecentomila euro sono una cifra importante. Ma non servono certo a rimettere a posto tutte le abitazioni a rischio. «Sulla base delle segnalazioni degli inquilini, stiamo effettuando una serie di sopralluoghi per individuare le situazioni di maggior urgenza ed effettuare poi l'intervento». E, nel frattempo, si cercano soldi. «C'è un milione di euro per gli infissi, settecentomila euro per i prospetti e le coperture, altri cinquecentottantamila euro per dare alloggi perfettamente in ordine ai nuovi assegnatari». Stanno per essere conclusi anche i trentasei nuovi appartamenti dell'ex scuola di via Flumentepido. «E stiamo intervenendo, con investimenti da diversi milioni di euro, anche in piazza dei Carrubi, in via Is Mirrionis, in via Seruci e in piazza Granatieri di Sardegna».
Gli interventi
E gli altri alloggi? La situazione, per citare il caso più grave, di Santa Teresa è preoccupante. «Stiamo cercando tutte le risorse disponibili, andando a pescare ai fondi Pon metro e a quegli europei. E chiederemo altri finanziamenti nel bilancio». Magari si potranno anche trovare. Ma gli inquilini sono, ugualmente, attesi da sacrifici. «Certe manutenzioni sono talmente importanti che sarà necessario far allontanare chi abita in quelle case per il tempo in cui si interviene». Demolizione o ristrutturazione, poco cambia: gli inquilini saranno costretti, per un certo periodo, ad abbandonare il proprio appartamento.
La denuncia
«Non poteva che finire in questo modo», sospira Marisa Depau, consigliera comunale per dieci anni nel centrosinistra. «Nessuno dei due schieramenti ha preso di petto il problema: la verità è che non si vuole parlare di edilizia integrata, di zone cioè nelle quali far convivere realtà sociali differenti. Zone non destinate, quindi, a diventare ghetti. Invece, è stata alimentata costantemente la guerra tra poveri. E, alla fine, a pagare sono proprio loro».
Marcello Cocco