Turismo, pochi giovani scommettono: “Scoraggiati dalla troppa burocrazia”
Lavoro e turismo, un binomio che in Sardegna – ma non solo – evoca ormai solo storture: contratti non applicati, orari non rispettati, stage che si trasformano in sfruttamento, oppure ancora – ed è l’altra faccia della medaglia – disoccupati che rifiutano posti o preferiscono il sommerso per non perdere misure di sostegno come il reddito di cittadinanza o la Naspi. Di solito l’associazione occupazione-turismo rimanda esclusivamente al lavoro dipendente. Si pensa subito a camerieri, cuochi, receptionist, bagnini, istruttori sportivi e via così. E anche gli incentivi pubblici, come il bando ‘Più turismo più lavoro’ dell’assessorato regionale del Lavoro (che ancora attende il finanziamento di sei milioni e mezzo di euro per questa stagione), sono focalizzati sull’occupazione dipendente. Ma si tratta solo di una parte di un sistema che può generare molte buste paga. L’altro versante è l’autoimprenditorialità e la capacità del sistema economico turistico isolano di fare impresa e farla sempre più in senso innovativo, sostenibile, in grado di reggere gli impatti e di competere con il mercato. E magari se a fare impresa sono i giovani, il ricambio generazionale e il futuro economico dell’Isola ne trarrebbero vantaggio.
In generale in Sardegna solo una nuova impresa su tre è guidata da un giovane imprenditore, under 35, pari a 15.563 realtà attive, secondo gli ultimi dati disponibili di Unioncamere-Infocamere. Edilizia e paesaggio, servizi alla persona, ristorazione, turismo, servizi agli uffici, attività finanziarie e commercio sono i principali settori nei quali gli under 35 investono i pochi risparmi e le tante energie, non arrendendosi alle difficoltà del mercato, a un credito asfittico, alla tanta burocrazia e alla concorrenza sleale, italiana e straniera. La ‘young economy’ isolana, con il 29,7 per cento, è al nono posto in Italia per le quote di iscrizioni agli albi delle imprese delle Camere di Commercio (al primo posto c’è la Calabria con il 40,9 per cento, al secondo la Campania con il 40,8 per cento contro una media italiana del 30,8 per cento). Nel complesso, il peso dell’imprenditoria giovanile sarda sul totale delle imprese regionali è del 9,2 per cento e rispetto alla media delle imprese, quelle giovanili scontano una fragilità maggiore dal punto di vista patrimoniale.
A indagare l’orientamento all’imprenditorialità nel turismo dei giovani sardi, in particolare degli studenti universitari che frequentano percorsi in materie turistiche, è stato recentemente anche Giacomo Del Chiappa, professore di Marketing nel dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Sassari. Del Chiappa ha inviato un questionario a 354 laureandi e laureati chiedendo di esprimere “il loro grado di accordo su una serie di affermazioni che descrivono l’atteggiamento legato all’idea di intraprendere un percorso imprenditoriale in ambito turistico”. I giovani intervistati hanno risposto scegliendo un numero da 1 (per niente) a 7 (moltissimo).
I risultati dell’indagine sono chiari: il sogno di diventare un imprenditore turistico appartiene al 74,5 per cento dei ragazzi, che hanno risposto con valori tra il 5 e il 7. Così come positiva è la risposta alla domanda su quanto il percorso universitario frequentato aiuti a sviluppare le competenze necessarie ad aprire un’attività turistica: moltissimo per il 68 per cento del campione, con il 32 per cento che pensa che il sistema universitario possa comunque essere migliorato. I giovani poi sono convinti della propria capacità di business e di avere delle idee da sviluppare: il 63,6 per cento di loro si ritiene capace di individuare nuovi prodotti e servizi turistici da offrire al mercato. Ma quando si passa dalla teoria alla pratica, dai sogni alla realtà, le cose cambiano. Alla domanda sulla possibilità effettiva di avviare un’attività d’impresa in ambito turistico da qui ai prossimi cinque anni, la maggior parte dei giovani partecipanti all’indagine (il 42,2 per cento) ha espresso valori davvero bassi (tra l’1 e il 3); il resto si è diviso tra il 35,4 per cento che ha risposto in maniera positiva e il 22,4 che ha una posizione neutra. Il motivo? Si legge nell’ultimo quesito: il sistema strutturale (pubblico e privato) incoraggia e supporta l’avvio di nuove attività di impresa nel settore turistico? Per il 58,4 per cento degli intervistati la risposta è molto negativa (grado di accordo compreso tra 1 e 3), per il 22,4 la posizione risulta tutto sommato neutra, mentre solo per il 19,1 per cento il sistema italiano incentiva la nascita e la crescita di nuove attività.
“Nel complesso l’indagine evidenzia che la maggior parte dei giovani è fortemente attratta dall’idea di diventare imprenditore turistico. I ragazzi fondamentalmente pensano di aver acquisito le conoscenze e le competenze per poterlo fare grazie anche alla formazione universitaria ricevuta. Pur con una grossa fetta che la ritiene migliorabile – spiega il docente -. Ma non è una nostra caratteristica specifica, sono pochi i Paesi in Europa che dedicano particolare attenzione all’educazione all’imprenditorialità: secondo un recente rapporto di Eurydice (Entrepreneurship Education at School in Europe 2016) nessuno Stato ha pienamente inserito l’educazione all’imprenditorialità nei propri sistemi di istruzione rispetto ai 30 considerati. Solo 11 nazioni (per lo più collocati in area nordica) hanno una strategia specifica sull’educazione all’imprenditorialità”. Ma il vero problema è un altro: “A scoraggiare l’entusiasmo imprenditoriale dei giovani sarebbero però le barriere strutturali che caratterizzano – a livello oggettivo o anche solo percettivo – il loro contesto socio-economico di riferimento: è proprio sull’eliminazione di queste barriere (burocratiche, creditizie, ecc.) che dovrebbe concentrarsi l’attenzione dei policy maker (i politici)”.
Marzia Piga