Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Noi, murati vivi dentro casa»

Fonte: L'Unione Sarda
5 giugno 2019


Dieci rampe di scale e cento scalini: è il (caro) prezzo della libertà. «Queste case sono una prigione», sbotta un signore di mezza età affacciato al terzo piano. Nel palazzo accanto s'intravede una donna coi capelli grigi che osserva la vita scorrere fuori dalla finestra. L'ultima dell'edificio popolare dove anziani e disabili vivono da reclusi. Sono storie di murati in case che diventano trappole senza via d'uscita, perché l'ascensore non c'è, e anche solo uscire per strada a fare due passi diventa impossibile. E quando c'è non funziona. E allora il film è sempre lo stesso. Succede soprattutto nei quartieri periferici, dove in tanti gridano senza essere ascoltati.
Luisa e Raffaele
«Questa non è vita», dice con un filo di voce Luisa Murgia, 64 anni e una sfilza di patologie che la rendono invalida. Abita al civico 11 di via Monte Acuto, quartiere di Is Mirrionis, dove già vivere in condizioni normali spesso è difficile, ma per chi come lei non può contare neanche sulla salute diventa pressoché impossibile. «Da sola non posso neppure andare in giardino a prendere un po' d'aria. Fare tutte queste scale è impensabile», spiega. «Mi dica lei se è una situazione accettabile, è come se vivessi in carcere». A prendersi cura di lei c'è Raffaele Zedda, il marito prossimo ai sessanta, che si occupa di ogni cosa: prepara da mangiare, fa la spesa, le pulizie e via dicendo. «Cento scalini sono pesanti per chiunque, figuriamoci per chi ha una certa età o problemi di salute»: è un omone in confronto a lei, che minuta tiene lo sguardo fisso al cielo filtrato dalla finestra mentre le mani non smettono di tremare per via del Parkinson. Capita spesso. Perché quando Raffale non può portarla fuori non le rimane altro da fare.
Carlo e Anna Maria
Anche Carlo Caria sta all'ultimo piano, ha cinquant'anni ed è invalido. Divide la casa col figlio, la fidanzata e un bimbo di tre mesi. Hanno preso il posto dei genitori, deceduti dopo sette anni di prigionia forzata. «Mio padre era cieco, mamma non stava bene. Hanno finito la loro vita qui, senza potersi spostare da casa per anni. Sono morti sognando un ascensore». È tracheotomizzato, confessa che «raggiungere casa è come scalare l'Everest. Ma le garantisco che anche portar su una carrozzina con un neonato non è una passeggiata, bisogna essere in tre». Al civico 9 i disagi sono identici. «Grazie a Dio non ho problemi di salute e sono abbastanza allenata, ma quando i miei genitori si sono ammalati eravamo costretti a portarli giù con la sedia, prendendoli di peso», ricorda Anna Maria. «Sono case grandi, ma con l'avanzare degli anni diventano prigioni. Ci sono situazioni drammatiche, di gente che non vede la luce del sole da anni». Piergiorgio Boi interviene dalla finestra al terzo piano: «Galere. Sono galere», ripete più volte. «Anziani e disabili da soli non possono fare praticamente nulla. Sono condannati a finire la vita in esilio». Ma anche per chi sta bene le cose più banali - come portare su una confezione con sei bottiglie d'acqua, pelati o magari la bombola - finiscono col trasformarsi in lotte periodiche.
Luigi
Luigi Sanna vive nelle case parcheggio di via Is Mirrionis 94. Ha 64 anni, lotta con la sclerosi multipla e con i quattro piani che separano la sua abitazione dal resto del mondo. «Uscire da solo? Impossibile con la patologia che ho», taglia corto. «Sembra quasi una beffa: oltre ai problemi legati alla salute si aggiungono quelli che chi si trova in condizioni come la mia vivono ogni giorno», protesta. «Non pensa sia vergognoso essere costretti a stare chiusi in casa? Per fortuna ho mia moglie, mi aiuta lei, ma c'è tanta gente sola, che non esce più».
Sara Marci