LA STAR. A Cagliari con l'attrice Serra Yilmaz
Un mulino, poi un altro e un altro ancora: giganti famelici contro i quali scagliarsi a perdifiato in cerca di gloria, giustizia, un senso per l'esistere. Don Chisciotte e Sancio Panza, il primo un eroico cavaliere senza macchia pronto a conquistare la Mancia; il secondo uno scudiero rapito alla campagna che con pratica lucidità tiene corda alla follia. Tra loro un desiderio espresso da realizzare e avventurose promesse improbabili, ma non per questo impossibili da compiere. Perché l'orizzonte, la pulzella da salvare, l'isola da conquistare sono alla fine del sentiero irto di pericoli che corre nel cuore della fantasia. E questa strada, fino a domenica, passerà anche per Cagliari, al Massimo, che in questi giorni ospita il “Don Chisciotte”, pièce liberamente tratta dal testo di Miguel de Cervantes, diretta e interpretata da Alessio Boni. Al suo fianco, nei panni del fido Sancio Panza, Serra Yilmaz, sensibile interprete di origine turca e icona cinematografica del suo conterraneo Ferzan Özpetek, da “Harem Suare” a “Rosso Istanbul”, passando per cult come “Le fate ignoranti” e “Saturno Contro”. Oltre tutto questo, oltre il palco e lo schermo, si rivela un'avida esploratrice di culture e tradizioni, perché dal diverso da sé c'è sempre da imparare e, dietro l'angolo, sempre un nuovo posto da scoprire.
Yilmaz, è la prima volta che recita in Sardegna?
«Sì ed è la seconda volta che vengo in assoluto. La prima è stata intorno al duemila, al Festival di Tavolara: dovevo ritirare un premio per “Le fate ignoranti”. In quell'occasione, con un gruppo di altre persone abbiamo noleggiato una macchina e fatto un giro nei dintorni. Da quel momento è nato in me il grandissimo desiderio di conoscere la vostra terra. Mi sono sempre ripromessa di tornarci d'estate. Spero che quest'anno sia la volta buona. La Sardegna mi è rimasta proprio nel cuore».
Cosa regalerà al pubblico cagliaritano questo nuovo Don Chisciotte?
«La voglia di riconquistare con coraggio i propri sogni, senza mai arrendersi».
Perché è un testo ancora così attuale?
«Perché la fantasia, e il sogno, ci permettono di andare avanti. Se ci dovessimo accontentare della cruda verità, soprattutto nel mondo di oggi, saremmo finiti».
Chi è il suo Sancio?
«Un tipo semplice e pragmatico. Ha tutto il buonsenso contadino, ma anche il desiderio di governare un'isola e questo lo lega profondamente a Don Chisciotte. Entrambi si muovono nel terreno dell'immaginazione».
Quali elementi personali ha racchiuso nel personaggio?
«Ho un approccio sempre molto cerebrale rispetto al ruolo che devo affrontare. Comincio a viverlo come se mi seguisse costantemente e fosse sempre a un passo di distanza. In ogni personaggio che interpreto c'è una parte di me. Il lato ironico di Sancio mi appartiene moltissimo. Poi amo anche il suo candore, il modo in cui tratta Don Chisciotte assecondando le sue fantasie. Allo stesso tempo ha la grande capacità di stupirsi: tante persone ormai non si sorprendono più di nulla ed è una cosa tristissima».
Vive differentemente l'interpretazione teatrale da quella cinematografica?
«Nel teatro c'è continuità. All'inizio hai tra le mani un contadino un po' ignorante che poco a poco diventa sempre più educato e saputello. Lo segui nella sua crescita. Al cinema, invece, dobbiamo riprodurre sentimenti in un istante per poi staccare e ripartire da un'altra scena. È tutto più frammentato».
Se si trovasse realmente nei panni di Sancio, per esaudire quale desiderio accetterebbe di immergersi in un'impresa folle?
«Se il premio fosse il poter salvare tutti i bambini che muoiono di guerra e fame, come accade ad esempio in Yemen, accetterei senza dubbio».
Attualmente, nel nostro Paese, lo straniero viene spesso dipinto secondo la dialettica dell'estraneo: come appare oggi l'Italia agli occhi di un'artista migrante?
«Non so se mi definirei un'artista migrante. Molti credono che viva da tanto in Italia, ma in realtà ho affittato casa a Firenze solo da un anno e mezzo e ne sono felicissima. Non mi sento estranea, anche perché mi appartengono tre paesi, tre lingue e tre culture: turca, francese e italiana. Però quello che sta accadendo, l'inesorabile perdita dell'umanità e il veder sacrificati i principi elementari di solidarietà, mi fa molto male. La situazione politica nella quale viviamo, non solo in Italia, dovrebbe farci riflettere su tutti gli errori che abbiamo commesso, a partire dal come abbiamo educato i nostri figli».
Marco Cocco