Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

I martiri gloriosi invocati dai sardi

Fonte: L'Unione Sarda
10 agosto 2009

I “gosos” (“goccius” in campidanese) trovano origine nella tradizione iberica e in Sardegna. Diffusi soprattutto dalle confraternite, hanno rappresentato per secoli un elemento di unione tra le diverse zone geografiche dell'Isola Dal 2003 a Senis si svolge un convegno annuale (l'ultima edizione si è trasferita a Baratili) dedicato al tema, con l'esibizione di cori e l'intervento di esperti e studiosi


“Efis martiri gloriosu”, e Lussorio “cavaliere de altu gradu”. Le gesta eroiche di questi martiri, insieme a quelle di uno stuolo di altri santi, sono cantate nei gosos . In città e miriadi di paesi, nelle cattedrali e nelle basiliche - come nelle umili chiesette campestri - le lodi “in limba” dei santi e della Madonna risuonano durante le novene, le processioni, e alla fine della messa.
Il termine gosos deriva dallo spagnolo gozos, ed equivale al campidanese goccius (o goggius , e altre varianti), a sua volta dal catalano goigs. Ma si incontrano anche le denominazioni crùbas , laudes e gròbbes .
La tradizione si innerva nei secoli, e oggi vive un revival. In un minuscolo centro come Senis, nel cuore della Marmilla, sin dal 2003, grazie a Roberto Caria, brillante giovane parroco del paese, e col sostegno autorevole, tra gli altri, di Antonio Pinna, della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, si è compiuto quasi un miracolo: un convegno annuale sui gosos-goccius . Il titolo degli incontri è sintomatico: “Sa pratza de preguntas e torradas”, una sorta di forum.
L'ultima edizione si è trasferita a Baratili, sempre in collaborazione col Comune di Senis. Ogni dibattito è stato accompagnato da cori e dall'estro di neo-compositori di gosos . Memorabile la pubblicazione “I Gòsos: fattore unificante nelle tradizioni culturali e cultuali della Sardegna”, a cura dello stesso Roberto Caria, oggi docente presso la Facoltà Teologica. Di recente, sono fioriti studi e antologie; ad esempio di Raimondo Turtas-Giancarlo Zichi, Costantino Fois, e presso la rivista Arxiu de Tradicions, senza dimenticare mai l'opera indefessa di don Giovanni Dore, recentemente scomparso.

Ma cosa sono i gosos ? L'origine remota del termine risale al latino gaudium . Dissipata ogni fantasiosa ipotesi di origini bizantine, per la loro storia bisogna partire dal mondo iberico. E sulle loro radici strofiche influirono forme del Medio Evo romanzo, a partire dai trovatori, con la loro ballade. Un esempio? Il poeta-musico Gui Folques. Dopo una vita cavalleresca, già sposato e con due figlie, e poi vedovo, divenne sacerdote e persino papa, col nome di Clemente IV (1265-1268). Ebbe il tempo di scrivere anche “I Sette Gaudi di Nostra Signora” (Los set gautz de Nostra Dona) dedicati alla Vergine, per celebrare le sette gioie terrene della Madonna, dalla Annunciazione alla Assunzione.
Il nucleo originario della tradizione consta infatti nei sette Gaudi (terreni e celestiali) della Vergine. E gozos in castigliano sono attestati nel trecentesco “Libro de Buen Amor”, di Juan Ruiz, meglio noto come Arcipreste de Hita, nella provincia di Guadalajara. I più antichi goigs risalgono alla fine del secolo XIV, in Catalogna; nel monastero di Montserrat, dove è venerata una Vergine negra (la Moreneta) è conservato il più antico manoscritto con goigs munito di note musicali. Il libro è denominato Llibre Vermell, Libro Rosso, dal colore vermiglio della sua legatura. Il titolo di questi goigs è: “Ballata dei goigs di Nostra Signora in volgare catalano”; venivano danzati a ballo tondo (a ball redòn, ma nessuna relazione è dimostrata col ballu tundu sardo).
Siamo nell'epoca del re d'Aragona Giovanni I, in guerra con Eleonora d'Arborea, ai tempi in cui infuriava la peste nera. I goigs del codice di Montserrat venivano danzati anche all'interno della chiesa, oltre che nel sagrato. Nello stesso manoscritto catalano è presente persino una rarissima “danza macabra”; l'unica, con musica, pervenutaci dal Medio Evo. Le prime attestazioni storiche sicure di goigs, in Sardegna, risalgono - sinora - all'inizio del Seicento, e riguardano la Mare de Déu de la Mercè. Ma sicuramente alla fine del Cinquecento si cantavano i goigs della Madonna di Bonaria. Tra Sei e Settecento, si affermano definitivamente gosos in castigliano, e in sardo (logudorese e campidanese), mentre ad Alghero, si cantano tuttora goigs in catalano. Un mare magnum, in buona parte inedito. Tra le prime attestazioni documentarie, brilla una attestazione ad Oristano.
Anno Domini 1606, 29 aprile, Convento di San Francesco: i gosos della Immacolata si cantavano insieme al Salve Regina, con presenza dell'organo. Diffusissimi in tutta l'Isola, i gosos possono considerarsi quasi pillole di storia dei santi e della dottrina cristiana, alla stregua della medioevale Biblia pauperum, ossia la “bibbia dei poveri”, con raffigurazioni rudimentali, ma di sicuro effetto, per illustrare agli analfabeti la sacra scrittura. E i gosos sono anche questo: una sorta di “bibbia” dei semplici, che ha propiziato nei secoli la inculturazione dei valori del Vangelo in Sardegna, tramite racconti delle vite e virtù dei santi e della Madonna.
Centrale fu nella loro divulgazione il ruolo delle confraternite, che - soprattutto dopo il Concilio di Trento - hanno rappresentato uno straordinario circuito per la tradizione di queste devozioni popolari, spesso collegate coi riti della Settimana Santa. E oggi si assiste a un rilancio. La stessa iniziativa sorta a Senis nel 2003 - da cui sono scaturiti nuovi gosos , ad esempio per san Giovanni Battista - è sintomatica. Non parliamo poi di Catalogna e Baleari, loro patria d'origine: fervono in continuazione festival di goigs; e si compongono melodie apposite. Addirittura, per una Madonna di Palma di Maiorca, Santa Maria de Robines, nell'Oremus finale si prega la Vergine - in versione bilingue, latino e catalano - affinché vegli per la lingua madre. L'Europa non è solo unita dall'Euro, ma è stata amalgamata nei secoli anche dal culto dei santi - e in campo musicale dal canto gregoriano - che hanno abbracciato per secoli le regioni più remote. La Sardegna - a parte beceri campanilismi, soprattutto nel corso del Seicento tra Cagliari e Sassari - nei suoi mille microcosmi, risulta spiritualmente e culturalmente unita anche dai gosos-goccius . In questo scorcio del secolo XXI, dopo cinque secoli, questi canti perpetuano una peculiare sensibilità religiosa che permea l'intera Isola, nonostante l'infuriare di una globalizzazione che rischia di divorare per sempre ogni forma di specificità culturale.
GIAMPAOLO MELE

08/08/2009