Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

“Lo Schiavo” che solo l'amore riesce a liberare

Fonte: L'Unione Sarda
25 febbraio 2019

L'OPERA. Caldi applausi al Lirico di Cagliari per il melodramma di Antonio Carlos Gomes

 

 

Anteprima italiana di successo
Orchestra e Coro, ottima prova 

 

Viva il Brasil, viva la libertà! E viva “Lo Schiavo” di Antonio Carlos Gomes, andato per la prima volta in scena in Italia - Teatro Lirico di Cagliari - a riparare al torto di quel mancato debutto bolognese del 1887. L'ultima opera del compositore brasiliano che nei nostri teatri operò a lungo, nutrendosi della cultura italiana ed europea del tardo Ottocento, ha conquistato il misurato pubblico della prima, ottenendo molti applausi a scena aperta e un'ovazione finale.
Ci voleva la finzione del melodramma per far assurgere uno schiavo al ruolo di protagonista. E ci voleva questa storia esotica - eppure così vicina a noi, giocata com'è sull'eterno tema dell'amore contrastato - a risparmiare, una tantum, la vita della protagonista, e a far morire, al suo posto, uno dei due contendenti. Iberè, il “selvaggio” che conosce le ragioni del cuore, si sacrificherà per salvare Ilàra, la schiava datale in sposa dagli odiosi dominatori portoghesi, e con lei Amerìco, lo schiavista “buono”, che un giorno lo liberò dal suo stato di sudditanza e che ora potrà fuggire, lontano da tutti, con la donna amata.
Un preludio che comincia sottovoce, con un assolo di oboe, per un'opera coinvolgente che tradisce l'appartenenza di Gomes all'Italia (e all'Europa). C'è molto Verdi, in questo inedito “Schiavo”, allestito in coproduzione col Festival Amazonas de Ópera di Manaus, e ci sono Puccini, Donizetti, Rossini, forse anche Mozart e Wagner. La ricchezza di un mondo appartenuto al compositore brasiliano che nel 1870 conquistò la Scala con “Guarany”, ma che solo a Rio de Janeiro potè mettere in scena l'atto finale della sua produzione. Fu lui a dirigere “Lo Schiavo”, il 27 settembre del 1889, nel Theatro São Pedro. La schiavitù era stata abolita l'anno precedente, con la Lei Aurea della reggente Isabella, e questo tolse all'opera il suo carattere eversivo, trasformandola in un omaggio alla monarchia illuminata cara al compositore. Pochi anni più tardi Gomes sarebbe morto, sotto la Repubblica.
A 130 anni da quella acclamata prima, ci voleva il Lirico, sempre a caccia di rarità per le aperture di stagione, a riportare nel Vecchio Continente un dramma lirico rappresentato una sola volta in Germania qualche anno fa.
Eppure, davvero è sembrato - è stato - un ritorno a casa. Ai critici (a quelli giunti a Cagliari da mezza Italia) spetta ora il compito di analizzare il valore musicale di questa Grand Opéra. Al pubblico dell'inaugurazione il primo responso positivo. Passato attraverso il riconoscimento di melodie familiari, quelle del tardo Verdi su tutte, e un finale che evoca “Il pescatore di perle” di Bizet (anche lì un baritono si sacrifica per un soprano e un tenore). Un successo per il teatro, per l'orchestra e il coro diretti da John Neschling (Donato Sivo è il maestro del coro, così presente in quest'opera), per la compagnia di canto. Su tutti Andrea Borghini (Iberè), Svetla Vassileva (Ilàra) Elisa Balbo (contessa di Boissy), Massimiliano Pisapia (Amerìco). Suggestive le scene di Tiziano Santi, che equipara la foresta all'amore, prima imprigionato e poi dominante. E significativi i costumi di Domenico Franchi: neri quelli dei dominatori, e per gli Indios tuniche da schiavi che poi si trasformano in vesti via via più “identitarie”. Belle le coreografie di Luigia Frattaroli. Al regista Davide Garattini Raimondi (ricordate “L'Ape musicale”?) il compito di raccontare l'evoluzione di una storia di amore e potere, schiavitù e ribellione. Con la foresta amazzonica che alla fine prende il sopravvento su tutto: è la natura che si riappropria del suo spazio. Anche se quella grata che imprigiona gli indios vincitori lascia più di un interrogativo. Un'irrequietudine anticipata, prima dell'inizio dello spettacolo, da quei cinque figuranti che hanno accolto il pubblico della platea. Corpi semi-immobili (un omaggio alle performance dell'artista israeliana-newyorchese Maria Hassabi) che sembrano respirare - e agonizzare - con l'Amazzonia. A dirci (come quella grata) che i finali netti non esistono. Ma poi, ecco un'altra scritta, sempre in platea, a rincuorarci: “Teatro Buoni e Cattivi”. Ci dice di una bella collaborazione in arrivo fra il Lirico e la Locanda, nata in città nove anni fa da un atto di speranza negli esseri umani. I sommersi e i salvati.
Maria Paola Masala