Ma nell'Isola sono state istituite solo quattro aree protette su undici Parchi, scommessa vinta
«Una chance di sviluppo» Quelli del parco di Tepilora, giovane area protetta di quasi 8mila ettari nei territori di Bitti, Posada, Lodè e Torpè, vogliono viaggiare con una carrozza leggera e perciò pure il neodirettore che si insedierà a giugno - figura che per legge dovrebbe essere pagato come un dirigente degli enti locali - si ritroverà con un contratto part-time. «Abbiamo scelto questa soluzione per ridurre i costi», spiega il presidente (a gettone zero come ormai lo sono tutte le poltrone di questi enti, a parte il manager) Roberto Tola, sindaco di Posada. Stipendi e orari leggeri anche per l'esperto di beni culturali, l'ingegnere o architetto, l'agronomo e il tecnico amministrativo che vinceranno il concorso bandito dall'ente.
UN VALORE AGGIUNTO Con 300mila euro di trasferimenti annui dalla Regione e un bonus d'avvio di quasi 4 milioni di euro (per realizzare strutture come il centro scout, servizi e strade), a quattro anni dall'istituzione della riserva naturalistica i vertici di Tepilora dicono che sì, il parco porta sviluppo. «L'area protetta è un valore aggiunto, un marchio che attira visitatori», precisa il sindaco di Bitti Giuseppe Ciccolini. Aggiunge il presidente Roberto Tola: «Il nostro obiettivo è certamente quello di tutelare l'area, ma anche di valorizzarla facendo nascere una solida economia, tante imprese private che gestiscano i servizi e l'accoglienza».
OCCASIONI PERSE Quattro, in Sardegna, i parchi regionali nati in aree di grande interesse naturalistico; mentre - a distanza di quasi trent'anni dalla legge quadro che istituiva le aree protette dell'Isola - sono sette quelli rimasti sulla carta. «Un peccato - avverte Stefano Deliperi, presidente del Gruppo d'intervento giuridico - perché le aree protette sono un richiamo straordinario per il turismo. C'è uno studio che ha stimato in una media di 100 euro al giorno quel che spende un visitatore nelle zone di grande interesse naturalistico. Ma penso, ad esempio, al mai nato parco della Giara. In un territorio straordinario per ambiente, storia e tradizioni, quei piccoli paesi in quale altro modo possono arginare lo spopolamento?». Poi, certo, «dipende sempre da come i parchi vengono organizzati e gestiti, ovvero in maniera funzionale e non come carrozzoni».
PUNTI DEBOLI Il Gruppo d'intervento giuridico ha già bollato come «carrozzone» il parco unico Molentargius-Santa Gilla-Sella del diavolo così come disegnato nei progetti della Giunta regionale. «Sarebbe un'entità mostruosa e ingestibile», attacca Deliperi. E un'altra valanga di soldi pubblici in aree che ne hanno già ricevuti tanti (la terra della riserva del Molentargius, istituita nel 1999 e aperta sei anni dopo, era stata bonificata a fine anni '80 con un intervento di 120 miliardi di lire, il più grande investimento al mondo su zone umide) e dove, nonostante ciò, perdurano degrado e discariche abusive.
I VISITATORI Vincenzo Tiana, presidente del comitato scientifico di Legambiente, vuole puntualizzare solo gli aspetti positivi: «Questo parco, ormai di rilievo internazionale, ha sottratto 1500 ettari all'urbanizzazione selvaggia che rischiava di soffocare un'area di straordinario valore naturalistico. D'altro canto, garantisce al territorio un ritorno eccezionale, con decine di migliaia di visitatori all'anno». L'idea di inglobare Santa Gilla e la Sella del diavolo lui la vede di buon occhio: «Le zone umide sono assediate dalla città, sarebbe un modo per creare una cintura, un perimetro di protezione».
IL NO DEI CACCIATORI Ma perché un parco, previsto dalla legge quadro del 1989, non viene poi istituito? «Vogliamo che ci sia il consenso della gente», sintetizza Renzo Ibba, sindaco di Morgongiori e presidente del consorzio del parco del Monte Arci, undici comuni tra la Marmilla e il Campidano di Oristano. La resistenza è precisamente quella dei cacciatori. «Qui - spiega Ibba - la caccia grossa è un'attività sociale». Intanto, «stiamo lavorando come se il parco ci fosse con progetti per la sentieristica e i servizi. Con quali soldi? Coi contributi dei Comuni». Nel parco che non c'è verranno presto sistemati (4 milioni di euro lo stanziamento regionale) 126 lavoratori (perlopiù operai) dell'ex Ati Ifras, l'associazione temporanea di imprese che dal 2001 (fino al licenziamento nel 2016) aveva una convenzione con la Regione per il recupero delle aree minerarie dismesse.
Piera Serusi