Di Ennio Neri 3 maggio 2018
Prima le donne e i bambini. Adesso tutti gli altri. Ex detenuti, senzatetto e persone sole. Una novantina di un tutto stanno lasciando la Casa della Solidarietà di viale Sant’Ignazio. Persone abituate a convivere in una struttura dove ricevevano assistenza 24 ore su 24, dovranno adattarsi a vivere in appartamenti, visitati periodicamente dai servizi sociali del Comune.
Chiude (per lavori di messa in sicurezza) l’ex ricovero di Mendicità, poi ricovero per anziani e infine condominio di associazioni impegnate nella solidarietà e l’aiuto a persone fragili. Dove si trova la mensa per indigenti (gestita dalla Caritas, quest’ultima comunque dovrebbe rimanere operativa anche durante i lavori), l’accoglienza di donne in difficoltà coi loro bambini (Donne al traguardo) e poi i senzatetto e i carcerati (aiutati dai frati Cappuccini). I lavori sono stai programmati da tempo. Ma ancora non è stata individuata una precisa sistemazione per tutte queste persone in difficoltà. E poi è tutto da stabilire il futuro del centro di Solidarietà: terminati i lavori, riaprirà in viale Sant’Ignazio o i locali restaurati saranno dati all’Università (circola l’ipotesi di uno studentato per l’Ersu)? E che ne sarà degli operatori (una ventina in tutto) che oggi dopo 13 anni garantiscono oggi la civile convivenza nell’istituto ?
In attesa di nuovi bandi e dell’apertura di una nuova casa della solidarietà, magari al San Giovanni di Dio o all’ex caserma dell’Aeronautica di Monte Urpinu, l’ipotesi al momento è quella dell’assistenza diffusa. I senzatetto sparsi in tante case in città verranno assistiti dai servizi sociali del Comune con la collaborazione degli attuali operatori del centro di accoglienza.
I quali nutrono parecchi dubbi: “A parte che i servizi di tutoraggio non hanno mai funzionato ma in quali termini noi dovremo aiutarli? Come volontari?” chiede Davide Ariu, responsabile di Ozanam, associazione attiva in viale Sant’Ignazio, “e se possiamo tenerli a casa perché li abbiamo tenuti qua dentro per 13 anni, ricordo che parliamo di povertà anche sociale e spirituale. Di persone cioè che hanno un disagio sociale tale da non poter riuscire ad autogestirsi e che hanno bisogno di accompagnamento. In questi anni noi non li abbiamo solo accolti. Ma abbiamo dato loro una spalla per aiutarli nel loro cammino di vita”.
“I lavori per la messa in sicurezza si devono fare”, spiega Rita Polo, consigliera comunale Pd, presidentessa della commissione Politiche sociali, “stiamo mandando avanti un percorso. L’amministrazione riconosce il valore di questi servizi che non vogliamo interrompere perché le persone sono la cosa più importanti. Ci saranno diversi modi per mandare avanti la lotta all’emarginazione adulta. Prevediamo anche dopo dei bandi con progetti europei che riguardano l’inclusione sociale e progetti già finanziati che non sono ancora partiti”.
Il Comune è già partito coi colloqui personali. Le situazioni saranno analizzate una per una. “Stiamo cercando una tempistica per i lavori”, prosegue Rita Polo, “il primo piano rimane aperto. Si agirà per moduli. Sarà un processo graduale e non somiglierà a uni sfratto e ci saranno più interventi di tutoraggio. Del futuro della sede parleremo col sindaco. Non vogliamo ghettizzare nessuno. Chiediamo che la struttura resti in una posizione centrale. Il San Giovanni di Dio andrebbe benissimo”.
“Si sapeva che ci sarebbero stati i lavori e pensavamo che il Comune prima della chiusura avrebbe trovato alternative per poter proseguire i servizi garantiti per 13 anni e questo non è avvenuto”, sottolinea Silvana Migoni di Donne al Traguardo, “il sindaco ha detto che dei poveri se ne occuperanno i servizi sociali. Ma resta aperto il problema di dove andranno a finire le persone che si trovano in emergenza oggi. E c’è un avanzo di 300 mila euro sui fondi regionali impiegati per questi progetti Che fine faranno?” mentre per quanto riguarda la nuova sede “Cagliari è una città di gusci vuoti”, aggiunge, “c’è l’imbarazzo della scelta: ex clinica Macciotta, ex clinica Aresu, ospedale militare, ex carcere di Buoncammino, caserma di San Bartolomeo interi edifici scolastici inutilizzati. Non è un problema di spazi, è un problema di volontà politica, quella di mandare avanti un’esperienza che questi 13 anni ha dato assistenza a tantissime persone”.