Rassegna Stampa

La Nuova Sardegna

Decine di tombe intatte oltre i confini del parco

Fonte: La Nuova Sardegna
8 aprile 2008

Clamorose scoperte del Corpo Forestale nel cantiere comunale di Tuvixeddu


L’incredibile distrazione della Sovrintendenza: sepolture a pochi centimetri dai muri



Alla luce scheletri e corredi funebri mentre l’impresa costruiva le pareti di pietra senza l’autorizzazione



CAGLIARI. Tombe puniche dappertutto, anche a dieci centimetri dai muraglioni di pietra costruiti a ridosso della necropoli di Tuvixeddu. Gli operai dell’impresa di subappalto ‘Falpo Srl’ di Roma, che lavorano al parco archeologico pubblico su incarico del Comune, ne hanno scavato almeno cento, da aggiungere alle seicento scoperte negli anni passati. Si tratta di sepolture intatte, coi resti degli scheletri e del corredo funebre. Ed è incredibile che i lavori di costruzione dei muri larghi quattro metri oggi all’attenzione della Procura siano andati avanti nonostante apparisse chiaro anche ai profani come il perimetro della necropoli fosse tutt’altro che definito. Lo dimostrano le immagini scattate dagli uomini della Guardia Forestale, autori delle ispezioni e della relazione tecnica che ha indotto il sostituto Daniele Caria ad aprire un’inchiesta giudiziaria con due dirigenti comunali indagati: si vedono chiaramente tombe appena sotto le muraglie, vicinissime, come se fossero integrate nelle nuove strutture. Ma soprattutto ce n’è una appena scavata che si trova oltre i manufatti di pietra. Quindi questa ‘nuova’ tomba è fuori dal parco archeologico e all’interno del parco naturalistico. Qui, in una situazione che appare paradossale, sta il centro dell’indagine in corso: sequestrato il cantiere e acquisiti i documenti al Comune, all’ufficio regionale tutela paesaggio e alla Sovrintendenza archeologica gli ispettori della Forestale sono impegnati proprio in queste ore alla verifica del cronoprogramma dei lavori. Vogliono capire, su incarico del pubblico ministero Caria, se i lavori di muratura siano partiti in contemporanea agli scavi archeologici, c’erano 900 mila euro a disposizione, più altri due milioni e 100 mila per realizzare il resto. Logica vuole che prima si intervenisse sulla necropoli per portare alla luce le altre tombe. Tutto lascia pensare che invece si sia andati avanti in parallelo, come se la Sovrintendenza conoscesse alla perfezione i confini dell’area cimiteriale, al punto da escludere la presenza di reperti all’esterno. Una scelta che - se confermata - riporterebbe alla mente il disastro del Poetto, provocato da decisioni approssimative e frettolose. Una cosa è certa: se è così, qualcuno ha sbagliato di grosso. Perchè è scontato che un’eventuale campagna di scavi da realizzare oltre i muraglioni, quindi oltre i confini teorici del parco archeologico urbano, porterebbe alla scoperta di altre tombe. Probabilmente decine e decine, forse centinaia. Così come numerosi intellettuali, a cominciare da Giovanni Lilliu, e le associazioni ecologiste hanno sempre sostenuto fin dagli anni Novanta, quando è apparso sulla scena il contestatissimo progetto di edificazione dei colli targato Coimpresa. Ma c’è un’altro dato fondamentale che la Procura intende accertare: il contratto d’appalto all’impresa romana Ecosabina - che ha poi ceduto il subappalto alla Falpo, impresa specializzata in scavi archeologici - stabilisce la presenza obbligatoria nel cantiere di un funzionario esperto della Sovrintendenza. In questo caso sarebbe Donatella Salvi, delegata per i cantieri archeologici. La domanda è implicita: se l’esperta del ministero c’era, ha assistito agli scavi delle tombe, ha rilevato ogni passaggio degli interventi di ricerca e ha preso in consegna i reperti, com’è possibile che non si sia accorta di quanto fosse cresciuto il volume delle fioriere, fino alla trasformazione in terrazzamenti? E perchè, se le tombe spuntavano dappertutto e anche a ridosso dei nuovi muri, non ha imposto all’impresa la sospensione dei lavori? Ad oggi il pm Caria ipotizza il reato di violazione delle norme ambientali soltanto per il responsabile del procedimento Paolo Zoccheddu, che seguiva i lavori per conto del Comune, e per il capo cantiere Giancarlo Manis. Ma se venisse accertato che le strutture di pietra non sono state costruite soltanto vicino alle tombe ma addirittura sopra i resti punici scatterebbe un reato diverso, quello di danneggiamento. Niente infatti può escludere che lo scavo compiuto dall’impresa per erigere le muraglie - abusive, perchè non compaiono nel progetto esecutivo e non sono state autorizzate dall’ufficio regionale tutela paesaggio e dalla Sovrintendenza archeologica - abbia provocato la distruzione di sepolture. Già però la presenza di tombe intatte sulla linea delle muraglie lascia semplicemente esterrefatti: si può avallare un intervento così scellerato? Ma c’è dell’altro: per motivare il suo ‘no’ ai nuovi vincoli regionali sull’area di Tuvixeddu-Tuvumannu, l’ex sovrintendente archeologico Vincenzo Santoni ha sostenuto con forza che nel corso degli anni, a partire dalla firma dell’accordo di programma dell’agosto 2000, sui colli punici non è emerso alcun ritrovamento di reale interesse. Eppure le prime tombe ‘vergini’ sono state scavate dall’impresa Falpo già nella primavera del 2007, prima che Santoni venisse chiamato a esprimere il proprio voto come membro di diritto nella commissione regionale istituita dal governo Soru, quella poi bocciata dal Tar. Santoni quindi sapeva che il suolo di Tuvixeddu stava restituendo alla vista reperti di enorme valore, tombe mai depredate coi loro corredi funebri. Perchè allora ha sostenuto il contrario? Perchè si è opposto ai vincoli regionali, ancorati proprio al fatto - come stabilisce il Codice Urbani - che tra il 2000 e il 2007 la situazione del sito fosse cambiata? Com’è possibile affermare con certezza che l’area di interesse archeologico si fermi esattamente ai limiti indicati nel progetto per il parco pubblico e non vada oltre, sino alle aree private, quando proprio gli ultimi scavi dimostrano l’esatto contrario? Ora c’è un riferimento inoppugnabile: una tomba alla luce del sole fuori dai limiti indicati nel progetto, basta andare a vederla. Sono domande cui i protagonisti di questa storia infinita e in gran parte inedita dovranno dare molto presto, probabilmente al pubblico ministero Caria. Domande scomode, a giudicare dai fatti inconfutabili che stanno emergendo ora dopo ora. Nel frattempo il magistrato ha ricevuto parte del materiale documentale acquisito dalla Forestale. E’ certo che il progetto esecutivo del parco non è andato mai all’attenzione della Sovrintendenza archeologica. Quindi l’impresa incaricata dal Comune ha lavorato senza l’autorizzazione dell’ufficio regionale tutela paesaggio e senza quella del ministero, che i carteggi esecutivi non li ha neppure potuti vedere. Questo formalmente, perchè in realtà il funzionario incaricato di seguire il cantiere poteva verificare ogni colpo di piccone, minuto per minuto.