L’architetto Roggio: “Il ddl urbanistica va corretto, è roba da anni Novanta”
Ci sono sempre meno dubbi sul fatto che sarà l‘urbanistica il terreno su cui il centrosinistra sardo proverà a ricostruire l’unità: oltre al caso Zedda-Ghirra con la richiesta da parte del Comune di Cagliari di maggiore concertazione sul nuovo ddl regionale, ieri si è aggiunta la presa di posizione del governatore Francesco Pigliaru, secondo il quale “si può fare a meno dell’articolo 4 e della tabella A4” che regolano rispettivamente i progetti ecosostenibili’ e il calcolo delle nuove cubature ammesse lungo le coste, nelle zone F (turistiche). Si tratta di due norme che, insieme all’articolo 31 sul premio volumetrico sino al 25 per cento per gli alberghi esistenti, incontrano l’opposizione dei movimenti e delle associazioni ambientaliste che proprio nel Comune di Cagliari sembrano aver trovato una sponda per dare maggiore eco alla protesta. In questo solco, tra i tecnicismi della legge e l’obiettivo politico di rifondare il centrosinistra, Sardinia Post ha chiesto all’architetto-urbanista di Sassari, Sandro Roggio, uno dei padri ispiratori del Piano paesaggistico regionale, di fare il punto sui margini di manovra che la coalizione può avere nella correzione, almeno parziale, del ddl, tenendo conto del percorso storico-politico su cui il Ppr prima e il ddl adesso si sono strutturati.
Architetto, l’apertura fatta ieri dal presidente Pigliaru dice moltissimo sulla rinnovata volontà della Regione di dialogare sull’urbanistica.
La rinuncia di Pigliaru a tenere in piedi le norme in contrasto con il Ppr, come l’articolo 43 e l’allegato A4, è un passaggio utile per avviare un nuovo confronto tra le forze politiche che governano la Regione e i movimenti che si oppongono al ddl. E se i cosiddetti programmi e i progetti ecosostenibili vanno contestati perché assegnerebbero alla Giunta l’enorme potere di avallare o bocciare grandi interventi urbanistici in deroga, la tabella A4 rappresenta una azzardata revisione delle modalità di calcolo per stabilire il dimensionamento dei Puc (piani urbanistici comunali). Una modalità di calcolo che produrrebbe un aumento medio di cubatura tra il 20 e il 30 per cento rispetto alle misure previste dalla legge Salvacoste: è evidente che siamo davanti a un serio pericolo.
Tra i contrari al ddl c’è anche lei, a ben vedere.
Credo che il ddl Erriu nasca da una contraddizione politica, frutto dell’assenza di un vero dibattito sul tema all’interno del Pd. Proprio la mancanza di un confronto schietto ha permesso il ritorno alla visione degli anni Novanta, secondo cui la pianificazione paesaggistica può ammettere deroghe astratte e con esiti imprevedibili. Nel 2018 è invece necessario un quadro normativo coerente. Questo è stato chiesto da molti, purtroppo con reazioni improvvide. Tant’è: quando il soprintendente Fausto Martino, messo per legge a custodia del paesaggio, ha manifestato lo sconcerto non ideologico su provvedimenti della Regione, è stato attaccato dalla Giunta e dal Consiglio regionali.
Sotto il profilo normativo, nella nostra Isola in cosa si è concretizzata la “visione politica degli anni Novanta”?
Per esempio nell’approvazione dei Piani territoriali paesistici (Ptp), cassati dal Consiglio di Stato e poi dal Tar . Ma l’allora classe dirigente non riparò a quella bocciatura con alcun atto normativo. La politica aveva deciso di lasciare perdere. Anche la giunta Palomba preferì conservare il vuoto, nonostante gli obblighi stabiliti dalla legge Galasso dell’ ’85. Un’inerzia che non fa onore ai protagonisti di quella fase.
Ce l’ha con gli ex Pci sardi?
Dopo il ’98 la transizione dal Pds ai Ds aveva comportato in Sardegna l’ingresso nel partito dell’intero gruppo dirigente dell’ex Psi. Pochi prevedevano che questa componente avrebbe concorso in modo rilevante a decidere le politiche dei Ds prima e del Pd poi, pure sui temi della pianificazione urbanistica. Invece prevalsero le idee del gruppo vicino a Antonello Cabras, figura di spicco dei nuovi aderenti. E si trattava di posizioni molto lontane da quelle di Cogodi e di quanti le avevano condivise nel Pci-Pds. Il dissenso era emerso con chiarezza sui temi del governo del territorio proprio ai tempi della stessa giunta Cabras, il cosiddetto governissimo, ovvero la maggioranza che concluse il percorso avviato con la legge 45 del 1989. Ad accentuare la distanza di visione ci fu proprio l’approvazione dei Piani territoriali paesistici (Ptp), secondo la legge regionale 23 del ’93. È di quella fase l’idea di introdurre regole, alcune importanti, ma derogabili a discrezione della politica, secondo un metodo che comparirà ancora. ‘Accordi di programma’, era la formula magica.
Invero la Gallura, sui Ptp, ha sempre lamentato l’applicazione di regole restrittive, non accomodanti, come l’obbligo dell’accordo a tre con Regione, Comune e parte privata. Se fosse stato per le sole decisioni locali, il Master Plan del principe Aga Khan sarebbe passato.
Il Master Plan meriterebbe un racconto a parte. Non è stato approvato perché era difficile inquadrarlo nelle disposizioni di legge e perché c’è stata una grande opposizione in Sardegna. Ci hanno provato fino alla bocciatura dei Ptp. Poi è iniziata un’altra storia.
Lei propone l’azzeramento dell’attuale ddl urbanistica?
Assolutamente no: l’articolato non è tutto da buttare. Ma ci sono parti che restituiscono l’idea che la Sardegna sia una terra disperata, a punto da poter ammettere anche trasformazioni insostenibili. Le regioni più ricche questo non lo fanno, non svendono facilmente il loro patrimonio residuo. La storia sarda è invece costellata di casi in cui le classi dirigenti si sono fidate di faccendieri-predatori, fatti passare per benefattori. Basti pensare all’industrializzazione senza pianificazione e con zero cautele per la salute, o al ciclo edilizio forever, senza limiti, per fare crescere il Pil. Sta in questo solco l’urbanistica che si piega agli interessi di pochi e fa saltare le regole. E i più disperati applaudono. Lo stesso spopolamento delle aree senza mare ha una causa nelle politiche territoriali: l’attrazione verso le coste ha voluto dire per tanti sardi qualche mese da manovale nei cantieri edili delle coste.
Trova che la Sardegna possa ancora commettere gli errori del passato?
È possibile, se la politica e soprattutto la sinistra faranno finta di non capire quanto vale il territorio. Temo anche la rassegnazione. Di questo passo, la Sardegna povera e senza lavoro corre il serio rischio di aprire le porte ai progetti, purchessia, anche contro gli interessi delle comunità locali. Sarebbero ancora vantaggi per chi, da sempre, ha preso senza restituire nulla, in danno alle generazioni future. Dove c’è povertà, c’è più daffare per gli illusionisti dello sviluppo sconveniente. Più elevato è il malessere, più si riducono le precauzioni che diventano prossime allo zero quando le crisi si prolungano oltre ogni umana capacità di sopportarle. Più si diventa poveri, più si è ricattabili. Con l’effetto estremo di cedere su tutto, mettendo in gioco pure la salute.
Mai più un metro cubo fronte mare?
Non mi rassegno alle politiche sbagliate della Regione sul governo del territorio. E purtroppo non vedo una netta discontinuità tra le diverse coalizioni: lo ha detto anche Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretaria del Mibact e preoccupata per il Piano casa voluto nel 2015 dall’attuale Giunta in continuità con quella presieduta da Cappellacci. E, attenzione, Borletti Buitoni non è esattamente una militante della sinistra massimalista, ma, appunto, sottosegretaria all’epoca del governo Renzi. Tra i diversi Piani casa è indubbia la sintonia. E il regista indiscusso fu lui: Silvio Berlusconi. Non è un dettaglio. Poi si sa: al Pd si rimprovera di stare a destra su tante questioni. Ne sono certi i più fieri avversari di Renzi. Io mi limito a dire che è pessima la legge SbloccaItalia e che i trivellatori non c’entrano nulla con i valori della sinistra moderna.
L’ex presidente Renato Soru non è mai stato immune dall’accusa di distribuire deroghe, come successo con la riqualificazione degli alberghi concessa in Costa Smeralda all’ex proprietario americano Tom Barrack.
L’accusa a Soru di avere consentito deroghe, attraverso le cosiddette intese, è infondata. L’intesa, prevista dalle norme di attuazione del Ppr all’articolo 11, comma 1, lettera c, aveva un carattere di temporaneità. L’obiettivo era consentire, in via eccezionale, la conclusione di progetti di ampliamento di attrezzature alberghiere ai sensi della 45/89 (la prima legge urbanistica della Sardegna). Non a caso, i dodici mesi di tempo concessi per perfezionare l’intesa erano esattamente coincidenti con quelli assegnati dalle stesse norme di attuazione per adeguare i Puc al Ppr. Se lo strumento dell’intesa è stato usato per finalità non previste, improprie e oltre i tempi indicati, non c’entra il Ppr del 2006. Soru, a ben vedere, è stato l’imprevisto della politica sarda dopo la fine del Pci-Pds. Un contrattempo come lo fu Luigi Cogodi. Il quale venne molto osteggiato per il suo impegno nella difesa delle coste. Un atteggiamento riproposto, non solo in Sardegna, verso chiunque si impegni con intransigenza nella giusta causa di tutela dell’ambiente. L’impressione è che contro le politiche di Soru si siano schierati gli eredi di chi contrastava le tesi di Cogodi.
Qualche nome lo fa?
Soru si è dimesso nel 2008 contro chi lo osteggiava nell’approvazione della legge urbanistica. Senza arrivare a un confronto sulla vicenda. Tutto appianato, nessuno scontro. E quindi non si sono fatti nomi, se non quelli dei membri della commissione consiliare urbanistica.
Cogodi troppo ambientalista come venne ‘punito’?
Da assessore all’Urbanistica nel primo governo di Mario Melis, venne trasferito al Lavoro nella terza Giunta guidata dal leader sardista. Cogodi è stato il primo in Sardegna a mettere al centro del confronto la difesa delle coste dall’attacco della speculazione e per questo additato come estremista. Cogodi venne degradato su richiesta dei contrari al suo slancio. Lo schiaffo aveva un valore simbolico. Lo diceva Luigi stesso, che parlava di ‘una lezione a chi avesse in mente di deviare troppo’. Tuttavia il suo lavoro aveva scosso l’opinione pubblica, grazie ai resoconti di giornalisti come Giorgio Melis, Giovanni Maria Bellu, Filippo Peretti, Lello Caravano e Giancarlo Ghirra. Sui rischi delle coste sarde incombeva anche l’ invettiva di Antonio Cederna. In questo clima di grande attenzione della stampa e dopo un dibattito cangiante, nel 1989 è stata approvata la legge 45, la prima legge urbanistica dell’Autonomia. E la materia divenne finalmente un tema esplicito del conflitto che aveva comportato crisi e dimissioni di presidenti, ma senza che si dicesse apertamente.
A Soru non riconosce alcun errore?
Soru ha approvato il Ppr nel 2006 e si è dimesso nel 2008 quando era in programma l’estensione del Piano paesaggistico alle zone interne e il suo rafforzamento con una legge mirata. Ma vi fu lo stop di cui si diceva: vinsero gli avversari di Soru, quelli interni al suo partito ed evidentemente numerosi. Non solo: nel Pd non c’è stato alcun dibattito sulle dimissioni del presidente, come se nulla fosse. E neppure Soru ha voluto fare mai chiarezza sullo scontro. Credo sia stato un suo grave errore. I contrasti sull’urbanistica erano quelli di oggi, grosso modo. Bisognava farli emergere. Era prevedibile che prima o poi riaffiorassero.
Oggi quale sarebbe il vantaggio di espungere dal nuovo ddl urbanistica gli articoli in contrasto col Ppr?
Il Ppr è lo strumento indicato dal Codice del Paesaggio nel 2004 per tutelare gli scenari pregiati del Paese. Redigere il piano era compito delle Regioni, in accordo con il Mibact e sotto l’ombrello dell’articolo 9 della Costituzione. Soru mirò all’obiettivo in anticipo, prima della approvazione del Codice e andò avanti nonostante i dubbi all’interno della maggioranza al governo. C’era chi pensava che il Ppr fosse un insieme di vincoli contro la crescita economica invece che un modello di sviluppo coerente con le attese dell’Isola, con la sua delicatezza. L’impedimento alle trasformazioni nella fascia costiera, più ampia dei 300 metri dal mare, ha reso il Ppr insopportabile alle lobbies palazzinare che lo hanno contrastato anche nei tribunali amministrativi, ma senza successo. Memorabile nel 2008 l’azione di Mauro Pili, promotore del referendum per abrogare la legge Salvacoste, alla base del Ppr. Ma nella consultazione popolare vinse l’astensione, segno che i sardi non erano molto in disaccordo con la riforma.
Sta ricandidando Soru al governo della Regione?
Non so se Soru sia intenzionato a candidarsi e con quale progetto. Leggo le indiscrezioni sugli organi di informazione anche relative ai sondaggi in Sardegna e mi pare di capire che il Pd non sia messo bene. Per questo non consiglierei a Soru una candidatura, se me lo chiedesse. Ma con Soru parlo solo di urbanistica.
A proposito di elezioni regionali: tra dieci mesi in Sardegna si torna a votare e stando al risultato del 4 marzo, i Cinque Stelle partono in vantaggio.
Il risultato del 4 marzo non si potrà ignorare nella fase conclusiva della legislatura. All’affermazione dei Cinque Stelle e alla dura sconfitta del Pd, credo abbia contribuito l’insoddisfazione verso le politiche della Regione e qualcosa c’entrano le proposte sull’urbanistica. C’è da aspettarsi una evoluzione del confronto, quando dallo stesso movimento saranno rese note le idee in tema di governo del territorio. Tra i neoletti M5s in Parlamento, il senatore Licheri ha già manifestato, in qualche dibattito pubblico, un giudizio negativo sul ddl Erriu-Pigliaru e si è detto convinto della necessità di impedire altre trasformazioni delle preziose coste sarde. Vedremo. Mi chiedo: il centrosinistra sardo cosa vuole fare? C’è chi pensa davvero di andare avanti a passo spedito conservando le parti del ddl che sembrano scritte per rovesciare il Ppr? Pare che Pigliaru abbia avvertito gli scricchiolii. Non sarà che il dissenso sul ddl, liquidato come ideologico, meritasse più attenzione? Non ci resta che dare il benvenuto tra noi a quanti, passato un anno dall’approvazione del disegno di legge, chiedono di eliminare le parti più contestate e sospette, come l’articolo 43 e l’allegato A4. E di riscrivere altre norme controverse come l’articolo 31.