Piano manutenzioni copiato dalla Toscana. I geologi: servono valori aggiornati Rischio alluvioni, dati vecchi
La mappa è ferma a 12 anni fa
Il piano regionale di gestione del rischio alluvioni ha una mappa delle frane vecchia di dodici anni e un piano dei sedimenti (tutto ciò che la forza di un fiume può trascinare con sé in una zona precisa) praticamente monco. Di più. Le linee guida per la sistemazione e la manutenzione dei versanti (frane, erosioni e dilavamenti), approvate dalla Regione nel settembre 2013, sono state copiate dal protocollo dell'Autorità di bacino dell'Arno, ente con sede a Firenze che gestisce un territorio tra Toscana e Umbria. Ora, anche uno scolaro asino in geografia sa che la Sardegna ha pietre, montagne e corsi d'acqua diversi da quelli del centro Italia, ma occorre dire che quest'ultimo documento venne approvato in tempi rapidi col parere contrario dell'Ordine dei geologi che si arrese soltanto davanti alla garanzia di un successivo, puntuale aggiornamento.
LA CONDIZIONE «Aggiornamento che non c'è mai stato», avvisa Davide Boneddu, referente regionale della Società di geologia ambientale. «Avevamo inserito questa nostra richiesta nel documento proprio per dargli una specificità locale, attinente ai nostri territori, alle caratteristiche geologiche della Sardegna che, per molti aspetti, sono uniche nel contesto nazionale». E così, mentre la protezione civile e le amministrazioni comunali si preparano a fronteggiare i nubifragi d'autunno, occorre puntualizzare certi punti deboli delle mappe dei rischi. Il censimento delle frane risalente al 2005 - quando l'inventario contava 1523 smottamenti in una superficie di 1.471 chilometri quadrati - è un punto debole perché assai datato.
LA MAPPA MUTATA «Dati che peraltro - puntualizza Boneddu - non tenevano conto di zone di rilievo come quelle militari, le aree militari dismesse e numerosi tratti di fasce costiere. Un inventario fermo a oltre dieci anni fa, che non registra un periodo nel quale il territorio sardo ha visto numerosi mutamenti con una moltitudine di frane segnalate dal Logudoro alla Nurra, dall'Ogliastra alla Barbagia e alla Baronia, dal Sinis alla Planargia. Per non parlare di quelle registrate dopo calamità devastanti come il ciclone Cleopatra del 2013».
LA TERRA FRAGILE La Sardegna, dal 2005 a oggi, è diventata una terra ancora più fragile. «Per questo occorre una pianificazione a medio e lungo termine - dice Giancarlo Carboni, presidente regionale dell'Ordine dei geologi -. Stiamo pagando le conseguenze di trent'anni di urbanizzazione disordinata, con il via libera a interi quartieri costruiti sul letto dei fiumi». Giusto un esempio, sono 152 su 377 i Comuni che hanno anche più di un canale tombato nel centro abitato: molti dei disastri del passaggio di Cleopatra sono venuti proprio dai fiumi coperti, all'improvviso esplosi in un'onda (e infatti una parte consistente dei finanziamenti della ricostruzione riguarda proprio i cantieri di messa in sicurezza dei corsi d'acqua). «Basta pensare ai nomi di certi rioni che evocano la presenza dell'acqua. A Monserrato, ad esempio, c'è una via Riu Mortu, che si allaga con le forti piogge». Oggi, sottolinea il presidente dei geologi, «le aree a rischio vengono delimitate e sono cresciuti i vincoli, ma non basta. Bisogna rafforzare ulteriormente questi interventi». L'Ordine ha più volte sollecitato la Regione a un maggior coinvolgimento dei geologi nella pianificazione e negli studi del territorio. «I geologi - puntualizza Giancarlo Carboni - sono praticamente inesistenti nella pubblica amministrazione, non solo nei Comuni ma anche nelle Province e in Regione».
I LIMITI Le conseguenze? «Il problema è che - dice Davide Boneddu - se non si conoscono adeguatamente le criticità del territorio, tutti gli strumenti di pianificazione, manutenzione e gestione rischiano di essere inefficaci e inefficienti». Un limite che, avvertono dall'Ordine dei geologi, «ricade anche sui piani di protezione civile, che se non perfettamente plasmati sulle criticità del territorio, rischiano di non dare risposte adeguate. Questo soprattutto se predisposti senza aggiornate e pertinenti conoscenze geologiche». Insomma, «se è vero che il piano di assetto idrogeologico viene continuamente aggiornato anche con dati ripresi nel piano di gestione del rischio alluvioni, resta il limite fortissimo dell'inventario delle frane fermo al 2005 e dell'assenza della carta dei sedimenti». Cioè dei tronchi, detriti, pietre trasportati dall'onda di piena. «Un piano che, in pratica, non valuta adeguatamente gli effetti delle alluvioni sul suolo».
Piera Serusi