La Cagliari che (per fortuna) non c’è più: is piccioccus de crobi, una storia di miseria e povertà estrema
Le foto d’epoca hanno sempre un sapore romantico, ci mostrano, con la complicità del bianco e nero, l’aspetto poetico delle cose, di una realtà che è stata attraverso una luce affascinante. E’ sempre difficile immaginarsi quella immagine a colori, reale, in movimento, dargli dei nomi e dei cognomi, delle storie vere, delle vite. La storia de is piccioccus de crobi è spesso avvolta da questa flebile aura romantica, di una Cagliari semplice, che non c’è più e per la quale si prova nostalgia.
Un gruppo di piccioccus de crobi all’inizio del secolo scorso
Questo è vero più che mai per le foto che ritraggono is piccioccus de crobi, che la tradizione più superficiale ha dipinto e trasformato in figure poetiche, ponendo l’accento sulla nostalgia per la semplicità di quei tempi, e preferendola all’aspetto triste di quel fenomeno.
Is piccioccus de crobi erano in realtà il simbolo di una povertà estrema. Si trattava per lo più di bambini figli di relazioni illegittime, lasciati in balìa della strada e delle sue regole, piccoli disgraziati vittime di situazioni di disagio, orfani, bambini nati e poi abbandonati.
Il fenomeno di questi niños de rua in salsa cagliaritana nacque intorno alla fine del milleottocento, e si diffuse a cavallo del secolo fino ad estinguersi, quasi naturalmente, all’alba degli anni ’40.
Quasi per un senso di vergogna inconscia, la figura de is piccioccheddus de crobi è stata conservata nella memoria storica della città attraverso quell’aspetto romantico di cui si diceva, fino a trasformarli anche in una maschera di carnevale della tradizione casteddaia.
Il nome deriva da sa Corbula (in italiano la corba), una cesta in vimini che era strumento da lavoro di giorno e giaciglio per la notte. Nella Cagliari aristocratica di inizio del ventesimo secolo era netta la distinzione fra la parte alta e quella bassa, una divisione non solo fisica ma anche sociale. La zona bassa della città, principalmente intorno al porto, era il teatro per is piccioccheddus de crobi, che per racimolare qualche moneta e comprarsi da mangiare, si aggiravano fuori dal vecchio mercato del largo Carlo Felice, offrendosi come facchini per portare la spesa alle nobildonne della Cagliari “bene” in cambio di un pezzo di pane o di una piccola mancia. Dentro quella cesta trovava così posto la spesa della donne appena uscite dal mercato e il sonno di questi bambini.
Ad ascoltare e leggere i racconti che ne parlano, is piccioccus de crobi si aggiravano per le strade scalzi con la loro corba in testa, ed erano spesso protagonisti di piccoli furtarelli, per lo più di cibo o legna da bruciare per riscaldarsi durante le notti passate all’addiaccio.
Come spesso accade nel confronto fra la società e i suoi margini, il problema a Cagliari era vissuto più come una questione legata alla sicurezza che dal punto di vista della ricerca di una soluzione economico-sociale che contrastasse quelle condizioni di povertà estrema.
Si arrivò addirittura, si dice, ad una proposta di legge che prevedeva che questi bambini, in genere fra gli otto e i quattordici anni, portassero una catena legata al collo con un numero, in modo da poterli identificare vista la totale mancanza di documenti. Fortunatamente questo non accadde e la dignità dei piccioccus non fu ulteriormente offesa.
Le foto d’epoca ci ricordano però quello che è stato. Vincendo il fascino del bianco e nero, è possibile vedere i volti scuri bruciati da una vita senza un tetto sulla testa, le espressioni di questi bambini cresciuti troppo in fretta, i piedi sporchi regolarmente senza scarpe, i vestiti troppo larghi e consumati.