Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Storie e leggende/2 Antica Cagliari Perbollo, il boia ucciso dagli spiriti

Fonte: L'Unione Sarda
3 luglio 2017

Storie e leggende/2 Antica Cagliari Perbollo,
il boia ucciso
dagli spiriti 

L a notte che precedette il suo decesso, Giuseppe Perbollo, di professione esecutore di morte esercitante la propria attività a Cagliari, ebbe l'opportunità di sperimentare la profondità della paura, il terrore che per decine di volte aveva letto negli occhi dei condannati alla pena capitale, i suoi «clienti», come amava definirli.
LA VISITA DEI “CLIENTI” Costretto nel letto dell'Ospedale cittadino, allo scoccare della terza ora della notte incontrò nuovamente le persone giustiziate, i condannati finiti sul patibolo eretto presso la croce giurisdizionale di Sant'Avendrace: fu subito chiaro all'anziano boia che quelle visite non erano frutto di un sogno o del delirio, soprattutto perché le mani ossute degli spiriti, infierendo sul suo corpo, lasciavano segni profondi, simili ai tagli causati da artigli. Ammutolito dal terrore, inerme dinnanzi alla vendetta di quanti avevano terminato ingiustamente i loro giorni, Giuseppe Perbollo - ultimo tra i boia cittadini - rivide la sua vita da sbandato, le risse, i furti, l'attività originaria di tagliapietre che l'aveva portato a Cagliari dalla provincia di Roma, dove era nato nel 1811.
Gli spiriti dei defunti per sua mano erano ritornati per accompagnarlo verso il viaggio finale, compagni terribili delle ultime ore di vita: ricevette la visita, altrettanto terrifica, dello spirito di uno dei suoi più fidati compagni di malefatte, quel Maccarroni il cui soprannome aveva oramai soppiantato un cognome perso nel tempo, rimasto solo nel registro dei defunti delle carceri cittadine.
LA FIGLIA Quando due giorni dopo, oramai cadavere, venne seppellito nel cimitero di Bonaria, nella fossa numero 4 alla linea 30, Perbollo venne accompagnato dalla figlia, unica parente che, in un atto di pietà, partecipò - senza che una lacrima le rigasse il viso - alla cerimonia. Negli occhi di Cristina Perbollo forse non c'era odio ma solo rassegnazione, quel senso di deprivazione che l'accompagnava dall'età di dodici anni, quando era stata costretta a frequentare l'Osteria di Bonifacio Pili, nel quartiere di Stampace, dove le veneri pubbliche venivano offerte a marinai, viaggiatori e nostrani frequentatori della casa.
IL FANTASMA DI ROSINA Fu proprio nel silenzio tetro del cimitero che la giovanissima Cristina ebbe un sussulto, un fremito che le percorse tutto il corpo quando, riempita la fossa con la cassa che conteneva il corpo del genitore, s'accorse di una presenza evanescente, una figura femminile ritta ad osservarla a distanza di pochi metri. La riconobbe subito per via della statura e per lo sguardo così profondo: si trattava di Rosina Belmonte che come lei faceva parte delle ospitate nelle due case gestite da Carlo Bertagnolio, bolognese di origine, trapiantato in città per gestire l'attività del meretricio pubblico.
LA VITA DELLE GIOVANI Le due giovani erano ben note all'autorità di Pubblica Sicurezza non solo per l'attività esercitata ma anche per l'esuberanza con la quale avevano partecipato - non ancora sedicenni - ad una rissa tra clienti e prostitute in via Corte d'Appello, diverbio che si era concluso con il ferimento di due giovani marinai.
Cristina, nata nel 1868 in una casa fatiscente di via Giardini: era stata costretta dalla madre, originaria di Sarroch, a prestare prima servizio presso una famiglia di Castello e poi a vendere il suo corpo in una delle case di tolleranza cittadine. Qui aveva conosciuto Rosina e con lei aveva spartito le camere fatiscenti gestite da Giuseppe Di Bernardo ai numeri 42 e 44 di via Dritta a Stampace: case di malaffare e malsane, ben lontano dalle ovattate stanze dello Chabanais parigino frequentato da nobili e ricchi europei. Erano state le due giovani a portare davanti al giudice, nel 1883, Di Bernardo, accusandolo di maltrattamenti e percosse: carceriere e sfruttatore che avrebbe di lì a qualche tempo saldato i suoi conti con la vita finendo suicida nel fossato di San Guglielmo.
L'ANGELO CUSTODE Fu proprio il giorno del funerale del padre a cambiare la vita di Cristina, che ebbe la fortuna di aver al suo fianco, come angelo custode, lo spirito dell'amica: lei che era conosciuta tra gli avventori delle case del piacere con il nomignolo di “figlia del boia” costretta a vendere il proprio corpo, si ritrovò ad essere salvata in più di una occasione dal fantasma della Rosina. Come la sera in cui un cliente ubriaco tentò di stozzarla per portarle via i pochi oggetti d'oro: il disperato dovette fare i conti con lo spirito adirato, quel fantasma protettore che si manifestò all'uomo in tutta la propria ira. Si raccontò delle urla disumane che l'uomo lanciò alla vista del fantasma e di come scappò dalla via Santa Margherita in preda a spasmi e convulsioni.
SPERANZA E SOSTEGNO Certo Cristina non ebbe la fortuna di conoscere gli agi di una vita spensierata, così come era stata instradata in una esistenza decadente: quando nel 1912 terminò il suo percorso terreno in una casa di Tunisi, ove era emigrata da alcuni anni. A raccogliere la storia della sua vita fu un infermiere di origine italiana, che ebbe modo di tramandare la vicenda di una donna impegnata negli ultimi anni a soccorrere e aiutare quante erano state costrette a prostituirsi. Cristina Perbollo divenne speranza e sostegno, anche economico, per molte giovani grazie anche alle monete d'oro che nottetempo uno spirito femminile lasciava in dono alla donna.
Pierluigi Serra

Scrittore
Pierluigi Serra
è autore dei libri
“Fantasmi
a Cagliari”,
“Cagliari
esoterica”
e “Athanor”