VENERDÌ, 29 MAGGIO 2009
Pagina 36 - Cultura e Spettacoli
OPERA LIRICA Mascagni allestito dal Teatro Massimo
GABRIELE BALLOI
CAGLIARI. «Cavalleria rusticana» e «Pagliacci», un binomio quasi indissolubile. Due opere che, fin dagli esordi, sono spesso andate insieme a raccogliere le loro fortune. E non solo per comunanza di tematiche: passione, gelosia, vendetta e morte. Entrambe, fu Sonzogno a pubblicarle e ad intuirne presto il vantaggioso accoppiamento. Entrambe abbastanza contenute nella durata, rappresentarono, già dagli albori della fonografia, un’allettante occasione per i discografici di offrire al pubblico non più degli estratti ma opere integrali. Entrambe, «Cavalleria» nel 1890 e «Pagliacci» nel 1892, riscuotendo velocemente un’ampio consenso di pubblico e critica, portarono d’un colpo i loro autori dall’anonimato alla ribalta. E non ultimo, diedero il via alla corrente verista del melodramma italiano. Non a caso, «Cavalleria rusticana» di Pietro Mascagni è tratta dalla novella omonima di Giovanni Verga, esponente fondamentale del “verismo” letterario. Sarà, tuttavia, Ruggero Leoncavallo a fare dei suoi «Pagliacci» un manifesto programmatico della nuova estetica.
Pertanto, anche stasera verranno messe in scena “una dietro l’altra” sul palco del Lirico (ore 20,30), per la Stagione operistica e per il IX Festival di Sant’Efisio. L’allestimento è prodotto dal Teatro Massimo di Palermo. La regia, attenta ed elegante, è di Lorenzo Mariani, scene e costumi, molto ben curati, sono invece di Maurizio Balò, luci di Guido Levi e coreografie di Luciano Cannito. Sul podio c’è Marko Letonja, mentre il coro è preparato da Fulvio Fogliazza.
Un’opportunità, nondimeno, per riscoprire anche le differenze. Da una parte «Cavalleria», con la sua precisa connotazione regionale e storica, dall’altra i «Pagliacci» come sospesi in un’assenza di tempo e geografia. Da una parte Mascagni, più intenso, più sanguigno ed affettivo sul piano sia teatrale che musicale; dall’altra, Leoncavallo che scrive da sè il libretto dell’opera (studiò fra l’altro con Giosuè Carducci), si pone in una prospettiva più intellettualistica, citando Verdi, lo stile galante e le commedie settecentesche, impiega elementi perfino di derivazione wagneriana, e adopera lo stratagemma narrativo del metateatro. Eppure, tutt’e due vertono sul dramma d’un omicidio compiuto a causa del tradimento amoroso. In «Cavalleria rusticana» ci imbattiamo nella tragedia di Turiddu, giovane siciliano che, rientrato dal servizio militare, trova la sua promessa sposa Lola congiunta ad un altro; per ripicca seduce Santuzza, la quale, una volta rinnegata, indurrà il marito di Lola, Alfio, a vendicarsi dell’onta subìta, sfidando e uccidendo Turiddu in duello. Anche in «Pagliacci» qualcuno tradisce e qualcun’altro si vendica: Canio, un attore/pagliaccio, uccide sia la moglie Nedda che l’amante Silvio, durante uno spettacolo teatrale in cui il tradimento vien recitato da Nedda (nei panni di Colombina) insieme al commediante Peppe (in veste di Arlecchino).
L’allestimento si avvale naturalmente di due cast differenti. Per «Cavalleria rusticana», il soprano Ildiko Komlosi è una Santuzza ben caratterizzata, dal timbro notevolmente pieno e rotondo, anche se spesso eccessivo nel vibrato. Convincente il Turiddu di Francesco Anile, ottimo nel fraseggio e nella presenza scenica, ha una vocalità squillante, ricca di pathos. Anche l’Alfio di Gevorg Hakobyan è un personaggio ben tracciato, con voce sempre chiara e profonda. Discrete, invece, Sarah Maria Punga (Lola) e Cinzia De Mola (Lucia, madre di Turiddu).
Nel ruolo di Canio, in «Pagliacci», abbiamo uno straordinario, impeccabile e accattivante Piero Giuliacci, con una timbrica adamantina, una sicurezza estesa a tutti i registri, ed un’indubbio carisma attoriale; la sua voce è duttile, ricercata e incisiva per ogni inflessione emotiva. Lineare, nitida e soave la vocalità di Amarilli Nizza, un’affascinante Nedda. Efficaci pure Luca Salsi (Silvio) e di nuovo Hakobyan, questa volta nel ruolo di Tonio.
In entrambi i casi, la direzione di Letonja è godibilissima e trascinante; soprattutto nella «Cavalleria», trova delle sonorità così dense e pastose, fervide e rifulgenti, con uno slancio lirico e prorompente da far sobbalzare.