Commemorazione in Consiglio regionale. L'associazione delle vittime: «Vogliamo la verità»
Daniele ha 33 anni, da due è sposato con Gabriella che di anni ne ha 29. Vivono in Toscana, in provincia di Prato, e si preparano a un futuro in Sardegna, con un nuovo lavoro e nuove prospettive. Partono dal porto di Livorno diretti a Olbia, ma nell'Isola non arriveranno mai perché vengono inghiottiti dalle fiamme del Moby Prince, la notte del 10 aprile del 1991. Sono due delle 140 vittime dell'incendio del traghetto e che da ieri vivono nel ricordo quotidiano di Cagliari, davanti al porto, con una piazza dedicata alla loro memoria: piazza Vittime del Moby Prince . Ma quella di ieri è stata una mattinata vissuta nel ricordo di una tragedia: prima davanti al mare e poi nell'aula del Consiglio regionale.
LA VERITÀ Il ricordo è un aspetto emotivo importante, ma i familiari delle vittime vogliono la verità. Ventisei anni di depistaggi, di inchieste ferme a un vicolo cieco: «Sono stati anni di rabbia, frustrazione e desolazione». Luchino Chessa descrive senza mezze misure un sentimento che accomuna 140 famiglie. Lui, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime: è il figlio del comandante, Ugo Chessa, che insieme agli altri membri dell'equipaggio cercò, invano di chiedere aiuto e trovare scampo. Nella tragedia morì anche la madre Maria Giulia Ghezzani.
NELLA NEBBIA Al comandante inizialmente fu addossata la “distrazione” come una delle cause dell'incidente prima che le indagini prendessero altre strade. Per questo c'è anche tanta rabbia ed è ancora presente sui volti di chi ha perso qualcuno in quell'inferno di fiamme a poco più di due miglia dal porto di Livorno. Riascoltare, nel documentario curato dal giornalista Paolo Mastino, le richieste d'aiuto fatte invano è una sconfitta per un paese civile. Il traghetto entra in collisione con una petroliera con un equipaggio di 30 persone che vengono tratte in salvo. Non succede così per il Moby e solo gli anni di ricerca della verità hanno dimostrato che l'agonia dei passeggeri durò ben oltre i 30 minuti e che quindi i soccorsi non sarebbero stati vani.
DEPISTAGGI La ricostruzione dei fatti è stata faticosa. Come racconta Luchino Chessa: «Ci sono delle parti del traghetto che non sono state colpite dalle fiamme, come dimostrano le impronte delle mani sulla fuliggine nella carrozzeria di alcune auto nel vano garage». Poi, aggiunge: «Alcuni mezzi sono stati trovati con le gomme intatte. Eppure due inchieste, due successivi processi, un processo parallelo e una nuova inchiesta bis del 2006, non hanno ancora chiarito cosa è realmente successo quella notte».
IL RICORDO Il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, il presidente del Consiglio regionale, Gianfranco Ganau, e l'assessore regionale dei Trasporti, Massimo Deiana, fanno gli onori di casa nella giornata del ricordo. Ci sono anche i senatori sardi della commissione di inchiesta, che raccontano di un «lavoro assiduo, non sempre semplice ma che vuole arrivare in fondo alla verità», dice Silvio Lai. Un nuovo metodo di indagine che «si fonda, in gran parte, sulle stesse conoscenze che c'erano all'inizio», sottolinea Luciano Uras.
I PARENTI Non è semplice rivedere le immagini della bara di metallo che fuma nel mare davanti alla Toscana. Ma alcuni familiari delle vittime, 26 delle 140 erano sarde, siedono nell'aula del Consiglio regionale. Non bisogna dimenticare e la piazza fa sì che la memoria di questa tragedia rimanga eterna, per ricordare tutti i giorni che c'è una verità ancora da svelare. Perché alle vittime e ai loro parenti la pace del mare è dovuta.
Matteo Sau