La città scomparsa. Santa Igia, l’antica capitale del giudicato di Cagliari sommersa dal cemento tra costruzioni e strade nella moderna Sant’Avendrace
Che fine ha fatto l’antica capitale del Giudicato di Cagliari? Dove sono i resti della città che sorgeva ai piedi del colle di Tuvixeddu e arrivava, secondo studi recenti, ai piedi del colle di Castello?
Furono le prime invasioni dei saraceni intorno al VI e VII secolo dopo Cristo a spingere la popolazione nei pressi dello stagno di Santa Gilla, in una posizione più facilmente difendibile da attacchi sia da terra che da mare. Santa Igia (contrazione di Santa Cecilia) sorse dal nulla. Quando fu distrutta dai Pisani, scomparve per sempre. Ora giace sotto costruzioni della Cagliari moderna tra Sant’Avendrace e Stampace bassa e i ruderi che nel corso degli anni sono emersi, sono stati anche frettolosamente e stupidamente ricoperti.
Lentamente, dal 700 al 900 d.C., Santa Igia si ingrandì e diventò un vasto centro urbano. La città con molta probabilità, si estendeva dalle attuali via San Paolo al viale Monastir, sino alla centrale elettrica di San Simone verso nord. Ma aveva delle arterie di collegamento anche con il Castello. Dal punto di vista dell’estensione non era grandissima: gli spazi erano ridotti, viuzze strette, abitazioni vicinissime, il tutto circondato da mura.
Santa Igia fu una fiorente capitale medievale, centro più importante di uno dei quattro Stati sovrani della Sardegna fra il IX/X e il XIII/XV secolo (gli altri tre regni furono Arborea, Torres e Gallura). La città sorse a partire dal 703/704, quando gli abitanti di quella che era stata l’antica Karalis punico-romana, minacciati dalle scorrerie saracene, si rifugiarono ai bordi dello stagno di Santa Gilla su un idoneo terreno rialzato, difeso naturalmente dalle paludi della zona di San Paolo, già frequentato fin dai tempi nuragici e fenicio-punici. In seguito il nuovo centro abitato divenne residenza abituale del re quando, fra il 900 e il 934, l’autorità di governo vi si trasferì ufficialmente.
Santa Igia si dette allora struttura cittadina con cinta muraria e castello, porto lagunare, reggia, episcopio, cattedrale e altri edifici pubblici, su un’estensione di circa venti ettari e con una popolazione stimabile in dieci-dodicimila abitanti. Questa capitale del sud della Sardegna visse quasi trecentocinquanta anni e, dopo il Mille, vide fiorire il Regno di Calari grazie allo sviluppo dei traffici, la ripresa dei rapporti religiosi con la Santa Sede di Roma.
Il porto era sistemato nella laguna. Oltre alla cattedrale di Santa Cecilia erano presenti anche altre due chiese: Santa Maria di Cluso e San Pietro dei pescatori, oggi ancora in piedi, in una traversa di viale Trieste. Nel 1216 la Giudicessa Benedetta concesse incautamente a imprenditori pisani di costruire una zona fortificata nel vecchio sito dove sorgeva l’acropoli punica, nel colle di Castello, facendo nascere così anche Castrum Calari, che ebbe vita comune con Santa Igia per circa una quarantina d’anni. Il gioco delle alleanze fu però fatale al giudicato di Kalari e alla sua capitale Santa Igia. Nel 1258 infatti, una coalizione formata dagli altri tre giudicati sardi (Arborea, Gallura e Logudoro) e dai pisani, assalì Santa Igia, poiché filo genovese, e la distrusse completamente mettendo fine al giudicato. Sulle rovine fu sparso il sale e la città scomparse per sempre.
La costruzione dei collegamenti con la città per la statale 130 mise alla luce numerosi reperti che, però, vennero anche ricoperti.
L’area dell’antica capitale giudicale è stata sommersa da varie colate di cemento, che ne hanno fatto sparire persino le fondazioni: degli edifici del mattatoio e delle poste di via Brenta e via Simeto, della sede UIL, dell’asse stradale del CASIC, e infine del complesso commerciale della Città Mercato.
Anni fa una denuncia del Professor Francesco Cesare Casula fece luce su quella che era l’antica capitale del Giudicato: la capitale del regno medievale di Calari “abbandonata e umiliata”.
Casula, professore ordinario di storia medievale dell’Università di Cagliari, denunciò l’archeodisastro di Santa Igia. L’accusa arrivò sotto forma di un articolo pubblicato sul un numero della rivista ”Archeologia Viva” (Giunti Editore), in cui Casula denunciò come “Poche città storiche hanno subito la sorte umiliante” di Calari: inglobata dalla moderna periferia di Cagliari ma soprattutto “completamente dimenticata e distrutta da impianti industriali e raccordi stradali”.
“Santa Igia è ancora completamente seppellita e ignorata da tutti: accademici, soprintendenti, amministratori e mass media”, come scrisse lo stesso Casula.
Quando agli inizi degli anni Ottanta il Casic (Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Cagliari) progettò di far passare, nel poco terreno ancora sgombro, una strada sopraelevata per ricongiungersi con la statale per Iglesias, il professor Casula protestò sui giornali locali, alla televisione e in sede politica presso la Regione Autonoma; organizzo sit-in di studenti, perfino un congresso, i cui atti furono pubblicati (1983) in un grosso volume intitolato ”Santa Igia, capitale giudicale”. Un inestimabile bene archeologico da salvare alle porte di Cagliari. Ma fu tutto inutile. Le foto delle fosse all’epoca scavate dalle ruspe per collocare i plinti della sopraelevata mostrano lo scempio perpetrato sui resti della capitale sepolta. E per finire, “una grande distesa d’asfalto, versato di notte alla luce delle fotoelettriche”, come concluse lo stesso Casula sulla rivista.
Casula e si suoi studenti scoprirono i resti di Santa Igia nel 1983, i danni arrivarono subito dopo. Il professore non si dette per vinto e nonostante il lungo degrado del sito continuò a informare sul disastro: organizzò un convegno nel 1993 dal titolo “Santa Igia 10 anni dopo ” e un altro nel 2003 “Judicalia. Una giornata dedicata alla vita quotidiana in una città giudicale: Santa Igia 20 anni dopo” – di cui furono pubblicati gli atti – e nonostante nel marzo del 2004 fosse stato presentato, unitamente al Rettore dell’Università e all’Assessore Comunale alla Cultura, il progetto di un Museo Virtuale sulla città giudicale di Santa Igia. Ancora una volta promesse, speranze, scritti, conferenze, convegni, ma niente di fatto.
Nel tempo si è unita alla battaglia l’Associazione culturale Sa Illetta, guidata da Idimo Corte, che da alcuni anni svolge diverse attività per la salvaguardia dell’Isoletta di San Simone, sia organizzando visite guidate, che conferenze, seminari ed altre iniziative culturali, compresa la pubblicazione del libro, curato da Roberto Coroneo, “Cagliari tra terra e laguna: la storia di lunga durata di San Simone”. tanto è stato fatto per salvare la memoria di Santa Igia ma tantissimo deve e può essere ancora fatto.