Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

«Non è più tempo di fare le dive»

Fonte: L'Unione Sarda
24 febbraio 2017

Oggi e domani al teatro llirico

 

Eppure la veneziana Sara Mingardo
è tra le artiste più apprezzate del mondo

 

N el canto lirico l'espressione “contralto” - derivata da contratenor altus - va a indicare la voce femminile più grave, la cui importanza crebbe vertiginosamente con l'esplosione del Barocco, agli inizi del Settecento. Timbro brunito e caldo, emissione nitida, solidissima nei centri ma senza sforzo anche negli acuti sono le caratteristiche del contralto ideale, abbondanti nell'arte della veneziana Sara Mingardo, che oggi e domani si esibirà sul palcoscenico del Teatro Lirico di Cagliari insieme ad Orchestra e Coro sotto la direzione di Elio Boncompagni.
Classe 1961, habitué dei palcoscenici più prestigiosi del mondo (ha dalla sua collaborazioni con Riccardo Muti, John Eliot Gardiner, Riccardo Chailly ed esibizioni coi Berliner Philharmoniker, la London Symphony Orchestra, la Boston Symphony Orchestra, oltre a due Grammy Award vinti nel 2002), la Mingardo vanta un repertorio che spazia da Händel a Monteverdi, da Vivaldi a Mozart, da Bach a Berlioz.
Bentornata a Cagliari, maestra Mingardo.
«Sono entusiasta di lavorare insieme a un grande direttore come Boncompagni, una leggenda vivente. Il programma del concerto è magnifico: personalmente ritengo la Rapsodia di Brahms l'apice della perfezione musicale, è una sfida che si rinnova ogni volta. In più, scesa dall'aereo ho trovato un clima quasi primaverile, davvero delizioso, come la vostra città».
Come si prepara alle sue esibizioni?
«Per chi ha la mia formazione, il testo è fondamentale. Mi sforzo di coglierne i significati per restituirli col canto, il pubblico deve poter capire senza difficoltà ciò che sta accadendo sul palcoscenico».
Cosa risponde a chi sostiene che la lirica è morta?
«Agli inguaribili nostalgici della Callas e degli altri mostri sacri dico solo che i modelli esistono per essere fonte d'ispirazione per le nuove leve. È così dagli albori, quando cantavano la Malibran e la Grisi. Semmai, in Italia occorre migliorare la qualità dell'insegnamento, è impensabile che un giovane cantante esca dal conservatorio senza conoscere nulla del Barocco. Qui domina il melodramma ottocentesco, altrove non è così».
Chi stima di più tra le sue colleghe?
«Premesso che a qualcuna ancora non è chiaro che l'epoca del divismo è tramontata, se devo scegliere una cantante dico la vostra Bernadette Manca di Nissa: struttura vocale invidiabile, sensibilità artistica di prim'ordine, un contralto purosangue».
Fabio Marcello

 

Come fare l'amore
«In due è meglio»

Toscano, classe 1933, Elio Boncompagni
è uno dei grandi direttori d'orchestra

 

 

« L o ricordo sempre agli artisti: suonare e cantare è come fare l'amore, si deve essere in due». È un Elio Boncompagni in forma smagliante quello che si appresta, oggi alle 20.30 e domani alle 19, a salire sul podio del Teatro Lirico di Cagliari per la quarta tappa della stagione sinfonica.
Schietto e sanguigno come sanno essere i toscani, classe 1933, Boncompagni è uno dei più grandi direttori d'orchestra che abbiamo in Italia. Dirigerà l'Ouvertüre in re minore “Tragica” di Brahms, Nachtlied op. 108 di Schumann, la Rapsodia per contralto, coro maschile e orchestra di Brahms e la Terza Sinfonia in Mi bemolle maggiore “Renana” di Schumann. Il concerto vedrà anche la presenza del contralto veneziano Sara Mingardo, altro nome di livello internazionale.
Elio Boncompagni torna a Cagliari («città accogliente, avverto una bella energia») dopo l'ultima apparizione datata 1973. L'esordio risale a dieci anni prima, quando al teatro Massimo diresse una serata con musiche di Mozart e Ravel.
Maestro Boncompagni, quali sono i capolavori della sua lunga carriera?
«Premesso che restano più i sogni nel cassetto che le cose portate a termine, ne scelgo due. La prima, nel 1973 a Bruxelles, è il Don Carlos di Verdi in cinque atti, una edizione filologicamente impeccabile con tutti i brani verdiani originali che oggi vengono tagliati. L'altra è la riscoperta del Don Sebastiano, ultima opera composta da Donizetti nel 1843. Ho recuperato la partitura sul libretto di Giovanni Ruffini dopo lunghe ricerche, siamo andati in scena a Stoccarda nel 1998. Mi vanto anche di aver rilanciato il teatro San Carlo di Napoli negli anni Ottanta».
Quando ha deciso di diventare direttore d'orchestra?
«Il nostro mondo si divide tra chi ci ha provato, e chi ancora deve farlo. Dopo gli studi di violino e composizione mi sono cimentato con le prime direzioni fino a vincere la rassegna internazionale Rai nel 1961. Da allora ho lavorato in Italia e tantissimo in Belgio, Germania e Austria. Non esiste il direttore perfetto, ciascuno di noi estrae dall'orchestra un proprio colore, che resta unico».
Chissà quanti mostri sacri della musica ha conosciuto.
«L'elenco sarebbe infinito, per restare al mio mestiere cito due nomi: Tullio Serafin, del quale fui assistente e dal quale ho rubato più di un segreto, ed Herbert von Karajan, temuto da tutti ma in realtà uomo mite e di insospettabile dolcezza. Il re del fraseggio e della qualità del suono». ( f. marc )