Le ricette astruse e sorprendenti dei Futuristi: fra polli d'acciaio e aerovivande
La pastasciutta? Antica, vecchia, superata. Peggio ancora: «Rende scettici, lenti, pessimisti». Meglio il più patriottico riso. Così parlo, anzi scrisse, in uno dei suoi tanti, perentori, roboanti, scoppiettanti manifesti, il padre del Futurismo, cantore della velocità e profeta della simultaneità, Filippo Tommaso Marinetti.
La battaglia contro spaghetti e maccheroni fu una delle tante intraprese dalla più famosa e importante delle avanguardie artistiche italiane del primo Novecento: una battaglia che, ha ricordato Giorgio Pellegrini, storico dell'arte e assessore comunale alla Cultura, faceva parte di un disegno ben preciso, quello della fondazione di una vera e propria cucina futurista.
Quest'anno ricorre il centenario della pubblicazione, in un'inserzione a pagamento sulla prima pagina de Le Figaro del Manifesto fondativo. Meno conosciuto il libro scritto a quattro mani con l'artista Fillia nel 1932: “La cucina futurista”. Pieno di ricette tanto astruse quanto sorprendenti.
Roba non per tutti i palati: alla taverna del Santopalato, a Torino, si proponevano il “pollo d'acciaio” (con fette d'arancia e confetti argentati ), l'“agnello arrosto in salsa di leone” o l'aerovivanda, ovvero olive nere, cuori di finocchi e chinotti da gustare fra rombi di aeroplani, spruzzi di profumo di garofano elargiti dai camerieri sulla nuca di chi mangia e «un quadrato formato di carta vetrata, seta e velluto» da accarezzare con la mano libera mentre si mastica. Si mangia con tutti i sensi: vista, gusto, udito, tatto e olfatto. ( m. n. )
18/05/2009