Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Aspettando il ritorno di Re Cancioffali

Fonte: L'Unione Sarda
21 febbraio 2017

CAGLIARI. In città cortei di maschere a budget ridotto

 

Chiusa l'epoca della Gioc mancano le iniziative
per riportare la sfilata dei carri ai fasti del passato

 

C agliari come Viareggio. Erano gli anni della ricostruzione e del boom economico e la città capoluogo - rasa al suolo dalle bombe del '43 - era un cantiere aperto e in pieno fermento.
E forse anche per esorcizzare sirene e sinistri sibili di guerra, i cagliaritani pensarono a un Carnevale in grande stile. Ma i mezzi economici - ora come allora - non consentivano sogni di gloria ma, merito dell'intraprendenza del cavalier Loddo, casa a Stampace proprio addossata alla parrocchiale di Sant'Anna, nel lungomare della via Roma per anni sfilarono le gigantesche allegorie viareggine, grazie a un accordo con la località toscana che girava alla frontaliera sarda i carri dismessi dell'anno precedente.
Fu su questo primo tentativo che si innestò l'azione rivoluzionaria della GIOC (Gioventù operaia di azione cattolica) grazie ai suoi fondatori- animatori Pinuccio Schirra e Tonino D'Angelo. Un connubio stampacino-partenopeo al quale si deve il primo esempio di cabaret popolare, la nascita di una cultura presepistica e, soprattutto, la ideazione e promozione del Carnevale cagliaritano.
La chiesa di santa Restituta, allora chiusa al culto, divenne la sede-fucina-teatro dei giovani della Gioc: coperta l'altare maggiore dalle quinte del grande palcoscenico, la navata centrale divenne la platea per un pubblico (non solo stampacino) che accorreva in massa alle repliche di un cabaret popolano e sanguigno.
Ma in queste mura trovò accoglienza e venerazione anche il maestoso Presepio artistico sardo, originalissima processione di sant'Efisio alla grotta-nuraghe della Natività che valse all'associazione operaia il primo premio all'Angelicum di Milano.
Una volta smontato il presepio, la chiesa diventava il tempio della cartapesta dove il genio artistico di Schirra creava i protagonisti del Carnevale cagliaritano. Su tutti, il mitico Cancioffali enorme sovrano seduto in trono destinato al tradizionale rogo a Sa Murialla proprio sotto il Bastione di Santa Croce.
Perfino un centinaio, nelle edizioni di maggior gloria, arrivarono a essere i componenti de Sa Ratantina fra tamburi, piatti e tamburini, tutti rigorosamente inquadrati dai capibanda e selezionati dopo estenuanti prove notturne per le strade del quartiere.
E poi le maschere, tutte macchiette del popolino cagliaritano, ripescate e rivisitate in salsa stampacina: indelebili, in una rassegna storica delle edizioni di quegli anni, i gruppi de is gattus forse la maschera più semplice occorrendo un lenzuolo bianco e un turacciolo di sughero annerito per disegnare due enormi paia di baffoni. Con loro le pettorute diras le balie, sguaiate e trasgressive, le più composte ma non per questo meno procaci viurasa vedove in lugubre abito, manto e cappello rigorosamente neri. E poi picciuccus de crobi , gli eleganti dottoris , destinatari di mille sberleffi, e ancora panetteras , arregatteris e scatenati tialus a provocare il pubblico presente.
Ma la vera attrazione, per anni, è stata Carmen Miranda , al secolo Giosuè Cogotti, un massiccio vigile urbano che vestiva i panni della famosa ballerina brasiliana: da testa a piedi un mix di improbabili accostamenti di ananas e paillettes, tacco 20 e uno striminzito body su un trucco a dir poco sguaiatamente volgare. Il trio Miranda, con Schirra e D'Angelo a reggere il mantello oscenamente aperto su quelle imbarazzanti nudità, per anni sono stati l'attrazione del Carnevale cagliaritano, le vedettes incontrastate, il clou delle sfilate.
Fino all'inesorabile declino, legato allo spegnersi delle risorse a disposizione della manifestazione ma anche al venir meno di tanti protagonisti, diretti e meno, di questo irripetibile spettacolo popolare.
Che - può sembrare persino paradossale - era legato a filo doppio con le tradizioni quaresimali del centro storico: smessi gli abiti dello scialo, diras , viuras , gattus e tialus , quelle stesse persone, indossavano l'austero tailluer delle consorelle della Solitudine o il candido saio confraternale degli Artieri o del Crocifisso per dar vita alle drammatiche rappresentazioni della Settimana santa.
Un'anima indivisa che sapeva interpretare quell' unicum che era la vita più genuina dei centri storici, fatta di quell'intreccio di fede, tradizioni popolari e rapporti di vicinato mai troppo rimpianto.
Paolo Matta