L'INTERVISTA. Per gli scavi il soprintendente ai beni culturali propone due soluzioni
Poco personale, molte istanze: costretti a stabilire priorità
«Il nostro - dice - è un lavoro che non rende simpatici. Quando, per difendere il bene comune, dici no al progetto di un privato stai ostacolandone gli interessi. Ma è il nostro dovere. Quando si passa davanti a un bel tratto di costa incontaminato, spesso ammiriamo senza saperlo il frutto dell'impegno di un funzionario che ha fatto il suo dovere». Parola dell'uomo che, solo contro 23, dice no all'ampliamento del bacino dei fanghi rossi richiesto dall'Eurallumina a Portovesme, al secolo Fausto Martino, 64 anni, architetto, funzionario del ministero dei Beni culturali, soprintendente per il sud Sardegna da un anno e mezzo.
A lei, dopo l'accorpamento delle ex Soprintendenze (archeologica e beni culturali) dell'estate scorsa, compete la tutela del paesaggio, dei monumenti, dei siti archeologici in un territorio enorme.
«Enorme e ricco di vincoli (ministeriali e regionali, col Ppr).Sono 210 Comuni nei quali abitano due terzi dei sardi».
Di quali forze dispone?
«La Soprintendenza ha 137 dipendenti, destinati a scendere fino a 87 secondo la pianta organica: custodi, amministrativi, ragionieri, ingegneri, architetti, archeologi, storici dell'arte. Sono pochi, e l'età media è alta. Affrontano una mole spaventosa di pratiche da evadere».
Dati?
«Nel 2016, 5.000 istanze e 9.000 comunicazioni per il settore paesaggistico, 900 provvedimenti emessi per quello architettonico e 650 per quello archeologico».
Come fate?
«Non possiamo farcela. L'accorpamento è stato fatto a costo zero. Non ci sono stati dati nuovi mezzi. In Sardegna la pubblica amministrazione ha un alto tasso di digitalizzazione: quando la Regione, un Comune o uno sportello unico per l'edilizia o le attività produttive ci comunicano una pratica, gli atti sono depositati su una piattaforma informatica e ci viene fornita la password. Sono file pesanti, con molti elementi grafici. Ma noi non abbiamo la fibra ottica: lavoriamo con una connessione lentissima. È una corsa continua contro il tempo. Tre/quattro giorni solo per avere gli atti nella cartella condivisa. Poi c'è il tempo necessario a istruire una pratica. Spesso è necessario fare sopralluoghi. E dopo il pronunciamento si apre la fase dei ricorsi, delle memorie difensive».
Assunzioni?
«Bloccate da una quindicina d'anni. Il personale delle Soprintendenze italiane invecchia: altri due/tre anni così e le competenze dei vecchi non potranno più essere trasmesse ai giovani. La speranza è che nel gennaio 2018 possano esserci 700 nuove immissioni».
E nel frattempo?
«Siamo costretti a essere inadempienti. Dobbiamo decidere dove è meno dannoso esserlo».
Cioè?
«Le disposizioni dicono di esaminare le pratiche in ordine cronologico. Noi stabiliamo delle priorità. Altrimenti rischieremmo di occuparci di cose di poco conto e magari non facciamo in tempo a pronunciarsi su un progetto importante e impattante».
Esempio: io chiedo di poter impiantare una fabbrica sulla Sella del Diavolo.
«Le nuove regole prevedono il silenzio/assenso: se la Soprintendenza non si pronuncia entro 45 giorni per le pratiche ordinarie o 25 per le procedure semplificate, è come se avesse detto di sì. Quindi io mi concentro sulla Sella del Diavolo e metto in secondo piano, mettiamo, le recinzioni di poco conto».
Mai stato minacciato?
«In Sardegna no».
E altrove?
«Quando lavoravo in Campania ho subito minacce dal clan camorristico dei Nuvoletta. Avevamo bloccato un albergo sulla costa. È tutto negli atti processuali. In Sardegna, in generale, ho trovato un clima di cooperazione fra istituzioni. Per esempio, col Comune di Cagliari il dialogo è continuo».
Anche sul cantiere nel corso Vittorio Emanuele?
«Certamente. A giorni partirà l'intervento di restauro. Gli archeologi mi dicono che i reperti venuti alla luce sono importanti. Sappiamo che un buco aperto nel Corso interferisce con la viabilità e le attività commerciali. Noi siamo disponibili a due soluzioni. La prima: chiudere tutto dopo aver fotografato e documentato i ritrovamenti. La seconda: cercare di coniugare l'utilizzo della strada con la fruizione dei reperti. Occorre, in questo caso, proteggerli con una struttura funzionale e che non rappresenti un elemento di degrado urbano: non è facile né economico. In questa città, come scavi, trovi qualcosa. In altri cantieri abbiamo cercato di creare il minor disturbo possibile».
Sta crescendo, nell'opinione pubblica, la consapevolezza dei valori del paesaggio e dei beni culturali?
«Sì. Merito anche dell'impegno delle associazioni ambientaliste e di iniziative come Monumenti aperti e le giornate del Fai. In Sardegna, in particolare, molti reperti sono vissuti come simboli identitari e c'è molto dibattito».
Troppo?
«No. Per me qualsiasi occasione di confronto tra specialisti e cittadini sul senso del bene culturale è sempre positiva».
Marco Noce