Così la comunità islamica di Cagliari vive queste giornate di festa Perché sia, per tutti,
un nuovo giorno di pace
L oro, i musulmani, il Natale l'hanno festeggiato. La scorsa settimana, hanno celebrato il Maoled, uno dei giorni più sacri dell'Islam. «Un giorno nel quale», racconta Omar Zaher, portavoce della comunità islamica di Cagliari, «si celebra il compleanno di Maometto, la festa del Profeta». Una delle più importanti ricorrenze musulmane ma non la più sentita. «Quando ci vediamo ci scambiamo gli auguri, gli uffici sono chiusi. Ma non ha lo stesso impatto spirituale ed emotivo del vostro Natale».
Una festa che, in questi anni, è molto vicina al 25 dicembre perché gli islamici, per stabilire le loro ricorrenze, usano il calendario tradizionale. E, ultimamente, il dodicesimo giorno del mese lunare di rabi' al-awwal (la data, appunto, del Maoled) è caduta nella seconda metà di dicembre.
Loro, i musulmani che vivono in Occidente, devono fare i conti con una festività che non appartiene alla loro cultura, alla loro religione. «Qual è il problema? L'estremismo dell'Isis ha fatto venire fuori, in maniera purtroppo violenta, una verità assoluta: quella gente non ha nulla a che fare con noi. Quelli non sono musulmani. Tutte le religioni hanno una base comune. E hanno valore imprescindibile, la pace. Le religioni uniscono, non dividono le persone».
Parole a uso e consumo degli occidentali? Assolutamente no. Basta fare una veloce ricerca sul web per scoprire che nessun musulmano “vero” vuole cancellare il Natale. Anzi, in tanti se la prendono con chi, sulla base di un peloso rispetto degli altri, rinuncia ai simboli tradizionali. Nessuno, spiegano i teologi, ha mai chiesto queste cose. Anzi, facendo credere che i musulmani detestano il Natale, si finisce con il demonizzare l'islam in Occidente. E si fa il gioco di tutti gli estremisti, quelli targati Isis e gli islamofobi europei.
Parole, si potrebbe obiettare. E i fatti? «Quelli», risponde Zaher, palestinese nato in Giordania, informatore scientifico, «li posso raccontare tranquillamente io. E con una certa consapevolezza dal momento che vivo in Italia da trentacinque anni. Ma, prima di raccontare i miei Natali in Italia, vale la pena ricordare in che modo trascorrevamo questo periodo quando stavo in Giordania. Tra noi palestinesi ci sono anche molti cristiani ed era normale scambiarsi gli auguri di Natale, esattamente come accadeva in occasione delle nostre festività quando, invece, erano i cristiani a farci gli auguri. Non dimenticate, per esempio, che Yasser Arafat, musulmano, il 25 dicembre andava sempre nella chiesa della Natività a fare gli auguri ai palestinesi cristiani».
Normale in una popolazione in cui convivono diverse religioni. «E poi non dimenticate che Gesù è anche un nostro profeta ed è messaggero di Allah. E quindi abbiamo grande rispetto per quella figura». Non è stato così difficile, dunque, accettare un'altra festività. «Anche perché noi che siamo arrivati in Italia da tanto tempo, abbiamo creato legami qui. Abbiamo parenti, amici: certo, non è la nostra festa ma è pur sempre la festa di persone alle quali vogliamo bene. E, dunque, se loro provano gioia, noi non possiamo non provarla insieme a loro».
Non a caso, Zaher, come tanti altri musulmani trapiantati in Europa, vive il Natale come gli occidentali. «Volete proprio sapere che cosa farò in quel giorno? Andrò, come faccio da sempre nel paese dei miei cognati, faremo il pranzo di Natale e trascorreremo la giornata in famiglia». Un quadretto scontato, quello che si vede praticamente in tutto l'Occidente.
Certo, a lui non piacciono gli aspetti consumistici del Natale. Ma, bisogna essere sinceri, a chi, tra realmente avverte lo spirito della festività, piacciono? Eppure, anche da questo punto di vista, qualche concessione può essere fatta. «Quando è possibile», svela, «se voglio fare un regalo, cerco qualche altra occasione. Ma non sempre si può fare. Quando ci sono di mezzo i bambini, occorre, prima di tutto, pensare alla loro gioia». E, dunque, anche quest'anno, sotto l'albero i nipoti di Zaher troveranno i regalini di “zio Omar”.
Natale in famiglia, dunque. Come quello di una qualunque famiglia occidentale. Ma anche Natale pubblico: sabato scorso, Zaher era a rappresentare la comunità musulmana nell'incontro con l'arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio, proprio in occasione delle festività natalizie. Un modo per ricambiare gli auguri che la comunità cristiana (ma non solo quella) fa agli islamici quando celebrano le loro festività tradizionali, come, per esempio, la fine del Ramadan. Perché, come dicono i più lucidi teologi islamici, fare gli auguri di Natale non sono non è haram (proibito) ma rappresenta un atto di buona educazione, di condivisione dello spirito di benevolenza, di gentilezza, di rispetto nei confronti dei cristiani. Qualunque atto rivolto allo star bene e al dare bene agli altri, spiegano, rappresenta sempre un comportamento halal (consentito).
Marcello Cocco