Con Lella Costa da stasera al Massimo di Cagliari
U n cast eccezionale, in “Human”. In programma al Massimo di Cagliari sino all'11 dicembre, un lavoro prodotto da Mismaonda, Sardegna Teatro e Marche Teatro con nomi di gran peso. Regista Marco Baliani, scenografie di Antonio Marras, musica di Paolo Fresu e Gianluca Petrella. Sul palco, le luci di Loic Francois Hamelin e un gruppo di giovani valenti attori: David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu.
Protagonista e coautrice con Marco Baliani, la meravigliosa Lella Costa.
C'è un momento, nello spettacolo, in cui una donna affronta i controlli a Ellis Island e poi procede, varcando una sorta di soglia. In cosa somiglia l'emigrazione dei primi del Novecento alla attuale?
«C'è molta differenza, sono cambiati i tempi e le modalità. Allora, e parlo anche degli italiani, si aveva un punto d'appoggio, una rete familiare o regionale che orientava le persone e fungeva da cuscinetto, seppure in condizioni durissime. Noi abbiamo salutato milioni di figli e questi figli non partivano solo dal sud. Il dolore della separazione è uguale, identica è la lacerazione del distacco. La gente scappa da qualcosa di concreto e se prima esisteva una possibilità di governare l'esodo ora è un fenomeno incontrollabile e piuttosto complesso».
Nel titolo, la parola “Human” è sbarrata da una striscia nera. Cosa significa per lei?
«La sbarra non cancella la scritta, si pone come un interrogativo. Voglio dire, è come un'asticella che noi dobbiamo sollevare se vogliamo superare l'idea della separazione. Spero, speriamo, che la linea si faccia più sottile e possa scomparire».
Nel testo ci sono rifermenti a Ovidio, al mito di Ero e Leandro separati dall'Ellesponto. E all'Eneide di Virgilio. Il primo narra di una storia d'amore, l'altro di Enea che abbandona le ceneri di Troia. Motivi molto differenti per lasciare la propria terra.
«“Temete, compagni, quelli che poco hanno”: questa citazione bellissima spiega i sentimenti di paura ispirati dallo straniero, specie se povero. Straniero è chi non si conosce e dunque il nemico. Non è cambiata la percezione nei confronti di chi arriva da lontano, magari dal mare che è via d'accesso e qualche volta tomba. In una cosa siamo tutti uguali, nel seguire l'amore. E se Ero e Leandro si sono affidati a un lume sulla costa, Enea è sbarcato per fondare una città. Dunque non c'è per forza la fine della civiltà, nell'innesto di altre culture. Aspettiamo i barbari e i barbari non arrivano».
Le scene e i costumi di Antonio Marras sono fatti di abiti macchiati e dismessi. Con ancora l'impronta dei corpi, quasi, e con un colore dominante, il rosso.
«Tutti quegli indumenti sono ritratti di gente dilaniata, creano un'atmosfera torrida e ghiacciata insieme. Io la sento sulla pelle e le luci studiate da Marco Baliani aumentano la loro intensità. Del resto, Antonio Marras è un artista e ha seguito il rosso come una traccia di sangue e di vita».
Con “Human” state girando il Paese. Come ha reagito il pubblico?
«Con un calore straordinario. Vogliamo questo, mettere a nudo le contraddizioni dentro l'anima di ognuno, le oscillazione tra il desiderio di accogliere e la tentazione del rifiuto».
Alessandra Menesini