Referendum, sugli statuti speciali s’infiamma il confronto tra “sì” e “no”
Riscrittura degli statuti speciali. È questo uno dei temi centrali nel dibattito sardo sul referendum del 4 dicembre, quando gli italiani sono chiamati a decidere sulla riforma Renzi-Boschi. In caso di approvazione, cambierà l’assetto costituzionale del Paese, saranno modificate le materia di competenza esclusiva di Stato e Regioni e verrà introdotta, proprio in fatto di potestà legislativa, la clausola di supremazia nazionale.
Nell’Isola i comitati del No stanno puntando proprio sul “depotenziamento dell’autonomia” per convincere gli elettori a bocciare la riforma alle urne. Di contro, il fronte del Sì, capeggiato dal presidente Francesco Pigliaru, sostiene che la specialità sarda è salva per via delle “Disposizioni transitorie”, contenute al comma 13 dell’articolo 39. È scritto che le nuove norme sulla potestà esclusiva dello Stato (modifica all’articolo 117) “non si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime”.
La riforma Renzi-Boschi, però, non definisce né i tempi né le modalità per la riscrittura degli statuti, il cui compito spetterà al Parlamento con l’approvazione di una successiva legge. La materia è stata solo discussa nella conferenza Stato-Regioni, dove il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianluca Bressa, propose una bozza che prende il suo nome. Il documento, elaborato da un gruppo di lavoro in rappresentanza delle regioni speciali, introduce alcuni elementi nuovi rispetto all’attuale procedura, elementi che non hanno ancora valore di legge. Ma il comitato sardo del No li sta contestando e li considera “penalizzanti per l’Isola”.
La bozza Bressa è in otto punti. Al primo si legge: “Per le modificazioni degli statuti si applica la procedura prevista dalla Carta per le leggi costituzionali“. Quindi l’inizio del percorso resterebbe invariato: come già avviene oggi, la prima approvazione spetterebbe al Parlamento. Nessun cambio neppure sugli organi che possono presentare la proposta di modifica: ovvero le stesse Camere, i Consigli regionali o il Governo.
La novità introdotta dalla bozza Bressa riguarda i passaggi successivi al voto del Parlamento, quando la proposta di modifica passa alle Assemblee regionali. “In caso di voto contrario del Consiglio o di decorso del termine senza una deliberazione valida – è scritto – il presidente del Senato convoca una commissione paritaria di convergenza composta da due senatori, da due deputati e da quattro consiglieri regionali designati dai rispettivi presidenti in modo da favorire la proporzionalità delle rappresentanze”.
Altra novità: “La commissione paritaria, entro tre mesi dall’insediamento, formula all’unanimità una proposta condivisa. La quale è trasmessa al Parlamento che la approva con un’unica votazione con la maggioranza prevista all’articolo 138 della Costituzione (ovviamente quello corretto dalla stessa riforma)”.
Tuttavia non è detto che la commissione paritaria arrivi a elaborare una soluzione condivisa. “In questo caso – prevede la bozza Bressa – la legge di modificazione dello statuto speciale può essere approvata dal Parlamento”, quindi senza accordo, sempre seguendo le disposizioni dell’articolo 138. Insomma, ci può essere un voto d’imperio che “non può essere sottoposto a referendum nazionale”.
Thomas Castangia, coordinatore sardo di Possibile e sostenitore del No, dice: “Come dimostra la bozza Bressa il reale intendo del progetto di riforma costituzionale è quello di attaccare l’autonomia della Sardegna. Dopo aver smantellato il regionalismo, procederanno con la revisione degli statuti per avere mano libera nella difesa di operazioni in campo energetico e ambientale che troverebbero l’opposizione dei cittadini. Pigliaru non l’ha capito, ma i sardi – conclude Castangia – saranno più arguti di lui e bocceranno questa pessima riforma”.
Di segno opposto la posizione del deputato Francesco Sanna, uno dei sostenitori del Sì. Il democratico dice: “Intanto ai Consigli regionali non è stato tolto alcun potere. Le Assemblee possono continuare a chiedere la proposta di modifica. E anzi: non dovranno limitarsi a esprimere un parere, ma saranno chiamate a deliberare. Dove sia il depotenziamento delle autonomie, va spiegato. È di tutta evidenza che succederà l’esatto contrario”.
Sanna si sofferma anche un secondo aspetto: “Con la nuova disciplina dell’intesa, il fatto che la modifica degli statuti regionali vada approvata da almeno i due terzi di ciascuna Camera, qualifica ancora di più il voto. Stiamo parlando, come minimo, del 66 per cento dei componenti. Non meno importante è l’introduzione della commissione paritetica di convergenza: è la prima volta che verrebbe introdotta nella Costituzione italiana. E sempre in rispetto di quell’accordo pattizio sulla difesa delle specialità statutarie. Una garanzia chiesta anche in sede di elaborazione della stessa bozza Bressa. Non esiste alcun complotto contro le Regioni autonome, ma anzi ci sarebbe un grosso passo avanti per tutte”.
Al. Car.
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