Libri Un tuffo nel passato della città
C agliari ha un'anima solare e colorata. Sgargiante ma composta per Sant'Efisio, festa religiosa di fede e devozione, mostra i suoi toni più vivaci e anti-convenzionali a Carnevale. Opposta a quella tragica e austera, imbrigliata da lacci e appesantita dai campanacci, che caratterizza altri luoghi della Sardegna, lontani dal mare e legati ai riti ancestrali della terra, è irriverente, chiassosa e goliardica. Soprattutto negli anni Sessanta, periodo di cui in tanti ricordano i fasti, plasmava in maniera le sue maschere, inventava e perpetuava consuetudini e personaggi. Lo faceva con una spontaneità tenera e commovente, eredità della gioia semplice e ingenua delle feste popolari e della commedia di strada.
IL VOLUME Nonostante la ricorrenza del calendario pagano sia ancora lontana, un libro appena pubblicato documenta, facendo ricorso soprattutto alla forza delle immagini, il laboratorio di idee, parole (spesso in rima) e libertà di cui i quartieri storici cagliaritani, Stampace in particolare con la ratantira e i suoi cuccurus cottus , diventavano teatro. Intitolato “...È morto Cancioffali. Carnevali e maschere fra riti e tradizioni della Sardegna”, è frutto di un progetto di ricerca lungo vent'anni. Concepito come un'antologia (gli articoli sono di diversi autori, tutti molto noti a Cagliari), trae pretesto e deriva la sua organizzazione dalla domanda che Gianfranco Carboni, curatore del volume, pone nell'introduzione dell'opera: «Esiste una tradizione, una storia del carnevale cagliaritano?».
GIOC La risposta si compone come un puzzle. Così dagli armadi e dagli archivi delle famiglie e delle associazioni (Gioc, Dopo lavoro ferroviario, Società Sant'Anna, Manifattura tabacchi, Aspis e Gruc) escono fuori le vecchie maschere con penne e lustrini e i volti di chi dava loro verve, battute e personalità. E allora, con in sottofondo il rullio dei tamburini, il suono nitido e tintinnante dei piatti, quello sordo delle grancasse e il ritornello («donami una cicca, donamindi un'attra, custa non mi basta Arren-ge-ge!»), sembra di vedere l'enfasi grottesca - il ricordo è di Cicci Marcialis - con cui i fratelli Vittorio e Franco D'Angelo rappresentavano il Carnevale. Con loro Efisio Paci «vestito da Nerone che percorre via Roma in sella ad un asino». E poi «le maschere classiche: sa panettera, su dottori, is diras, sa gattu (maschera di esclusiva creazione cagliaritana), sa fiuda e (...) la prima drag queen casereccia: Carmen Miranda, impersonata dal compianto Giosuè Cogotti, al tempo vigile urbano». E poi lui, il re Cancioffali, che muore arso al rogo mentre la sua compagna Michetta festeggia ubriacandosi.
GIORGINO Nel libro si racconta anche - la testimonianza è di Irene Mura - del contributo che all'organizzazione del carnevale arrivava dal Villaggio pescatori di Giorgino. Negli anni '60 i suoi 110 abitanti erano parte del grande laboratorio che dava vita alle sfilate del giovedì, della domenica e del martedì grasso, sperimentando non solo la forza aggregante della comunità, ma anche il piacere della creatività e la libertà.
Manuela Arca