Rassegna Stampa

L'Unione Sarda

Gigi Riva sardo tra sardi

Fonte: L'Unione Sarda
7 novembre 2016

 


«Noi, gente perbene» Cosa ti ha dato il calcio? E cosa ti ha tolto?
«Il calcio a me ha dato un po' tutto. E non mi ha tolto niente. A parte la sofferenza per gli infortuni».
Gigi Riva, il campione è lì, davanti a te, nel suo storico ufficio a due passi da via Dante. Alle pareti i ricordi di una carriera straordinaria. I gol con la Nazionale, 35, come mai nessuno. Lo scudetto di una Terra, la Sardegna.
L'ultima volta al Sant'Elia per il saluto a Nenè.
«Sì, è così».
Ma da quanto tempo non segui una partita del Cagliari al Sant'Elia?
«Da diversi anni, tanti».
Perché?
«Perché mi prende un po' di agitazione, mi dà stress. Ne ho già tanto per conto mio, non voglio andare ad aggiungerne altro».
Allora segui le partite in tv?
«Nemmeno. Guardo la sintesi, i servizi che raccontano com'è andata».
Parliamo del Cagliari di Tommaso Giulini.
«Lo vedo bene. È una squadra che ha un po' di alti e bassi. In trasferta, in particolare, si disunisce un po'. Ma farà bene».
E il nuovo stadio?
«Ecco, qui non sono d'accordo con Giulini. Trovo sbagliato puntare su 20 mila posti. Un piccolo stadio, fatto per i cagliaritani, mentre il Cagliari è di tutta la Sardegna. È una squadra che credo possa essere ancora seguita da decine di migliaia di persone, come quando giocavamo noi».
Con Cellino non c'è stato grande feeling. O ricordo male?
«No, magari qualche piccola polemica sulle questioni calcistiche… Ma non c'è stato niente di particolare».
Capitan Dessena torna dopo 11 mesi e segna due gol. Cosa hai provato?
«Molto, molto contento per il ragazzo. Veniva da un brutto infortunio. Rientrare e fare due gol è una gran bella emozione. Ma Daniele deve essere contento soprattutto perché è riuscito a tornare com'era prima».
Gigi, tu oggi hai rapporti con la squadra, con i singoli calciatori?
«No».
Per scelta?
«Sì, per scelta. Ho girato tanto, troppo. Arriva un momento in cui devi dire basta. E non ho più tanta voglia di salire su un aereo».
Torniamo indietro. Cosa ti portò a Cagliari, a 18 anni.
«Intanto mi portò, appunto, un aereo. Milano, poi Genova, quindi Alghero e finalmente Cagliari. Venne a prendermi Miguel Longo, che era un giocatore rossoblù. Percorremmo una strada sterrata tra l'aeroporto e il centro. Solo in via Roma avevo avuto l'impressione di essere finalmente arrivato in una città».
Non fu un bell'impatto.
«Già, lo ammetto. Mi ero spaventato! Ma ero un ragazzino, in fondo. Poi pian pianino ho fatto le visite mediche, mi sono inserito nella squadra e nella città. Anche se un altro colpo mi era venuto quando vidi l'Amsicora in terra battuta. Mi sembrava quasi di essere tornato a Leggiuno, il mio paese, quando giocavamo per strada. Poi, per fortuna, abbiam vinto il campionato e siamo andati in serie A».
E quel Cagliari vinse anche lo scudetto, 46 anni fa. Quale fu il segreto?
«Nessun segreto, eravamo forti, ti devo dire. Ma proprio forti. L'anno prima arrivammo secondi. L'anno dopo eravamo in testa, cinque punti di vantaggio sull'Inter. L'ultima partita che ho fatto prima di farmi male a Vienna con la Nazionale fu proprio con l'Inter a Milano. Vincemmo tre a uno. Poi purtroppo quell'infortunio contro l'Austria. Frattura del perone, tutta la caviglia sfasciata».
Cosa spinge a ripartire dopo una mazzata come quella?
«La passione. E sono ripartito anche bene. Ma fu un infortunio brutto, molto brutto».
Gigi, hai appena acceso una sigaretta. Quante ne fumi ancora?
«Tante, troppe».
Cosa rimane, oggi, di quel gruppo? Vi sentite? Vi vedete?
«Restano i ricordi, intanto. Incancellabili. Comunque ci sentiamo, ogni tanto ci vediamo. Albertosi è stato qui di recente, altri abitano a Cagliari, capita di incontrarci».
Gigi Riva e Manlio Scopigno.
«Ha saputo prendermi. Ricordo un discorso che mi fece: io sono il tuo allenatore, certo, ma sono anche un tuo amico. Se hai problemi, era il senso, e vuoi confidarti con qualcuno, se vuoi parlarne, io ci sono».
Andrea Arrica.
«È stato un po' il mio scopritore. Anzi, a dire la verità quando sono arrivato, nessuno m'aveva preso… Tutti si rifiutavano di prendersi la responsabilità di avermi portato a Cagliari. A ripensarci, non avevano tutti i torti. Pesavo 67 chili, ero magro, secco, giovane. Anzi, un bambino».